Deletecyberbullying è una nuova app che punta a combattere il fenomeno del cyberbullismo coinvolgendo studenti, genitori e insegnanti. Ecco come
Quanto sappiamo sul cyberbullismo? Quanto siamo davvero consapevoli nell’uso della tecnologia? Deletecyberbulling è l’app europea che mira a prevenire e contrastare il fenomeno del cyberbullismo nelle scuole e nella società. Realizzata dalla Coface, la Confederazione delle organizzazioni familiari nell’Unione Europea a cui l’Associazione italiana genitori (Age) aderisce, con il sostegno finanziario del programma europeo Daphne, l’applicazione per tablet e smartphone è gratuita. Il cuore dell’app è costituito da un quiz interattivo con cui ragazzi e genitori possono testare le proprie conoscenze sul mondo del cyberbullismo e della tecnologia, condividendo i risultati su Facebook. I ragazzi possono inoltre eseguire un quiz di auto-analisi, che permette di reindirizzare i soggetti che lo necessitano alla help-line dedicata.
Il manuale per gli insegnanti
Il servizio di help-line è presieduto da professionisti competenti, in grado di fornire un primo aiuto al ragazzo in difficoltà, che spesso non riesce a palesare la sua condizione perché se ne vergogna. L’app è stata distribuita in Belgio, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Irlanda, Croazia, Ungheria, Bulgaria, Spagna, Grecia, Cipro, Lussemburgo, Danimarca, Finlandia, Islanda, Germania e Svezia nelle lingue di questi Paesi. L’aspetto innovativo dell’app Deletecyberbulling è il coinvolgimento degli insegnanti, che in precedenza non erano mai stati considerati parte attiva del target per questo tipo di prodotto multimediale. Il pacchetto comprende infatti un sondaggio che aiuta i docenti a comprendere meglio le loro aspettative e la loro esperienza con episodi di cyberbullismo, mentre un manuale dell’insegnante fornisce loro materiale didattico per lezioni sul fenomeno. Fabrizio Azzolini, presidente Age, ha chiarito che l’associazione ha deciso di lanciare in Italia l’app Cyberbullying, impegnandosi in prima persona nella sua traduzione italiana, grazie alla responsabile dell’Ufficio Europa dell’associazione, Sabina Greco, delegata dell’Age alla Coface.
I numeri del bullismo e del cyberbullismo
Nel 2014, poco più del 50% degli 11-17enni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Questo è quanto emerge dalla ricerca “Aspetti della vita quotidiana”, pubblicata negli scorsi giorni dall’Istat. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Secondo la ricerca hanno subito ripetutamente comportamenti offensivi, non rispettosi e/o violenti più i ragazzi 11-13enni (22,5%) che gli adolescenti 14-17enni (17,9%); più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%). Tra i ragazzi che utilizzano Internet o lo smartphone, il 5,9% denuncia di aver subito denuncia di aver azioni vessatorie tramite chat, mail o sui social network.
Un parere dall’esperta
Emma Pietrafesa, ricercatrice dell’Inail e specializzata in tematiche di cyberbullismo e cybersecurity, ha commentato: “A livello italiano, non esistono rilevazioni di carattere nazionale sul cyberbullismo, se non quelle della Polizia Postale, che si basano ovviamente sui dati delle denunce. Sarebbe importante sviluppare dei dataset sulla parte di percezione, che è particolarmente importante per prevenire il fenomeno. Ci sono alcune regioni un po’ più avanzate che portano avanti diverse esperienze”. Come una profilazione adeguata può aiutare a prevenire il fenomeno? “I dataset migliori – continua Pietrafesa – sono quelli canadesi e americani, che descrivono un trend di vent’anni e garantiscono quindi una certa solidità statistica. Grazie a quei dati, ad esempio, sappiamo che nel bullismo online sono più presenti le donne degli uomini, sia come vittime e come autrici. Forti di questo dato, le interazioni col pc non sono più interazioni con un soggetto anonimo, ma con profili che possiamo definire. Questi dettagli percentuali sul genere possono aiutare a usare tipi di programmazione distinti, proprio perché sappiamo a chi ci rivolgiamo”. Internet è il luogo di socializzazione e aggregazione per le nuove generazioni, “come per noi era la piazza del paese o il cortile”, spiega Pietrafresa. “Non si può pretendere che i ragazzi percepiscano la differenza rispetto a modalità di aggregazione a loro estranee e non bisogna pensare che ci sia un modello più giusto di altri.
Noi utilizziamo la tecnologia sfruttando solo il 60% delle sue potenzialità, per un retaggio intrinseco della nostra generazione legata alla percezione del rischio. Un nativo digitale non si pone il problema della sicurezza
proprio perché non ha mai conosciuto una realtà di tipo diverso e non può fare un confronto. Non riusciamo ad avere una chiara percezione del fenomeno, perché lo analizziamo con le nostre categorie mentali e non con quelle di un nativo digitale. Un’esperienza interessante è stato l’hackathon lanciato da Tim l’anno scorso a Roma, che ha permesso ai ragazzi di progettare un’app per il cyberbullismo: questa scelta si è rivelata particolarmente efficace, perché l’app è stata sviluppata dai ragazzi, che vivono il problema in prima persona e applicano quindi le loro categorie mentali per sviluppare qualcosa di funzionale.
L’esperienza ha permesso di registrare alcune dinamiche interessanti: i ragazzi sembravano più spaventati dal danno d’immagine che potrebbe derivare dall’essere vittima di cyberbullismo che dalla possibilità di poter essere feriti da parole particolarmente forti.
Questi sono dettagli importanti, che ci permettono di capire in che ottica i ragazzi vivono il fenomeno”.