Molti college valutano in maniera molto più positiva se uno studente ha lavorato in un fast food o in un bar rispetto ad un’esperienza in una grande banca o in uno studio di architettura
Ci sono diversi modi, per uno studente, di occupare i lunghi mesi estivi senza scuola. Può fare dei corsi di specializzazione, fare esperienza in grandi banche o fondi di investimento, andare dall’altra parte del mondo con una organizzazione non governativa per salvare le vite di migliaia di bambini. Oppure può trovarsi un lavoro vero. Intendiamoci, non che quelli citati non siano delle occupazioni degne della massima considerazione, ma per la formazione di un adolescente può essere molto più utile fare il cameriere, lavorare in un bar, in un negozio. Scontrarsi con la realtà del lavoro più dura, quella che obbliga ad alzarsi presto la mattina, a prendere rimproveri più o meno duri, ad essere trattati alla stregua di tutti gli altri. Per lo studio di architettura o di moda di qualche amico dei propri genitori c’è sempre tempo.
I lavori “umili” insegnano di più
«C’è tantissimo da imparare dai lavori che consideriamo più “umili” – spiega Richard Weissbourd, ricercatore in campo educativo a Harvard – i ragazzi vedono quanto duramente devono lavorare le altre persone, quanto scortesi e senza peli sulla lingua possono essere con loro. Imparano una lezione fondamentale per capire come relazionarsi con gli altri». Weissbourd ha scritto un report su come dovrebbero cambiare le domande di ammissione al college per mettere un freno alle ambizioni dei genitori, convinti di fare il bene dei propri figli facendogli frequentare corsi di musica, sport, matematica, letteratura o quant’altro.
Le università guardano alle esperienze
Alle università non interessa. Sono molto più attente a vedere se il ragazzo che fa domanda ha passato un’estate sulla piastra di un locale a girare hamburger. «I college trovano questo tipo di lavori molto più interessanti e formativi, molto più affascinante che andare tre mesi in Costa Rica a costruire case al mattino e a fare surf il pomeriggio» racconta Susan Warner, consulente universitario a New York. Irena Smith, che per anni si è occupata delle domande di ammissione a Stanford, ricorda molto bene l’impressione che fece la presentazione di una studentessa che raccontava delle sue estati passate a lavorare in un fast-food. La ragazza venne ammessa in alcune delle università migliori d’America, non per il lavoro che aveva fatto ma per come quell’esperienza le aveva aperto la mente, facendole vedere il mondo in maniera completamente diversa.
Lavori del genere, in definitiva, aiutano a formare il carattere e a creare empatia con le altre persone.
Perché questo sia possibile, però, è necessario uscire dal proprio ambiente (che spesso nel caso di ragazzi che fanno domanda per le migliori scuole significa un livello medio-alto, sia economicamente che culturalmente) e andare a vedere com’è la vita di quelli con cui non si è in contatto tutti i giorni. Trovare un lavoro estivo “umile” significa uscire dal proprio guscio e iniziare a capire come va il mondo. In una parola: crescere.