Milano, New York, la Silicon Valley, dagli studi di psichiatria all’Ipo più grande nel settore della salute: la storia di un imprenditore seriale che non ha paura di rischiare
«Non c’e’ una ricetta per diventare un imprenditore di successo. L’unico consiglio che mi sento di dare è: prenditi un sogno, vieni nella Silicon Valley e prova a realizzarlo». Me lo dice Giovanni Colella, milanese, 58 anni, di cui oltre metà vissuti negli Stati Uniti. E’ tra i pochi italiani in America ad essere riuscito a fondare una società high-tech e portarla con l’Ipo in Borsa: Castlight Health, la sua terza startup. L’ho incontrato mentre era a New York per parlare con i suoi investitori. E la febbre da imprenditore seriale lo sta già spingendo a pensare ad una nuova avventura.
La scrittura del primo business plan
«Ho scritto il business plan della mia prima startup durante un viaggio in aereo e ho cominciato senza avere investitori, mettendoci i miei risparmi – mi racconta Colella – per la seconda startup ero già conosciuto ed è stato più facile. Ma è sempre un azzardo: devi sapere che hai una chance su mille di riuscire a far decollare un’azienda e poi hai una chance su 10 mila di fare una Ipo. Devi innamorarti di quello che fai, divertirti e non curarti delle critiche di chi ti dice che e’ impossibile farcela».
Da psichiatra e imprenditore della salute
Giovanni Colella ha cominciato per caso, mosso da una storia familiare drammatica, che però è riuscito a trasformare in stimolo positivo. Laureato in Medicina alla Università degli Studi di Milano, Colella era venuto a New York nel 1984 per specializzarsi in Psichiatria, poi ha preso anche un Mba alla Columbia Business School.
devi sapere che hai una chance su mille di riuscire a far decollare un’azienda e poi hai una chance su 10 mila di fare una Ipo
«Ho fatto lo psichiatra per dieci anni poi ho deciso di cambiare – spiega – mi ero reso conto che nei miei pazienti continuavo a vedere mio padre, che era gravemente depresso tanto che sei anni fa si è suicidato. Ho deciso di continuare ad occuparmi di salute, ma come imprenditore».
In Silicon Valley la massa critica di capitali e idee
Così Colella ha fondato a New York nel 1993 la sua prima startup, SAI, una società di consulenza nel settore della salute, venduta a Perot Systems nel ’97. La sua seconda startup è stata RelayHealth.
«L’ho creata a New York, ma presto ho capito che se volevo davvero fare l’imprenditore high-tech dovevo andare nella Silicon Valley – ricorda – per questo nel 2000 mi sono trasferito là: a quei tempi, ma credo anche adesso, non c’era confronto con alcun altro posto al mondo in termini di massa critica di capitali da investire nell’high-tech, connessioni di affari, potere intellettuale».
Castlight Health: l’Expedia per i pazienti
Nel 2006 altra exit con la vendita di Relay Health al gruppo McKesson. «Mi sono preso due anni di pausa-studio a Stanford – ricorda Colella – ho letto di tutto, dalla poesia all’economia, ho studiato latino e seguito perfino la politica italiana.
Poi nel 2008 ho fondato la mia terza startup. All’inizio doveva chiamarsi Maria Health, in onore di mia madre che è morta quell’anno dopo una grave malattia. Ma quel nome era già preso e allora l’ho chiamata Castlight Health».
presto ho capito che se volevo davvero fare l’imprenditore high-tech dovevo andare nella Silicon Valley
E’ una sorta di Expedia per i pazienti, frutto della combinazione di algoritmi matematici con l’esperienza medica di Colella: una piattaforma che permette di confrontare online prezzi e prestazioni di ospedali, cliniche, dottori e scegliere dove farsi curare. Ma i clienti non sono direttamente i pazienti, ma le grandi aziende americane – dall’Ibm a Wal-Mart – che offrono l’assicurazione sanitaria ai loro dipendenti e che grazie alla banca dati di Castlight possono prevenire e trattare meglio le malattie dei lavoratori. Hanno investito nella startup grandi nomi del venture capital e di Wall Street come Oak Ventures, VenRock (famiglia Rockefeller), Morgan Stanley e T.Rowe Price.
100 milioni di dollari di fatturato e 600 dipendenti
«Ho cominciato nel salotto di casa mia a San Francisco, con due collaboratori – ricorda Colella – nel 2014 ho portato Castlight in Borsa, al Nasdaq: è stata la più grande Ipo nel settore della salute. Ora abbiamo 600 dipendenti e un fatturato di 100 milioni di dollari». Le quotazioni delle sue azioni sono scese parecchio dal debutto, quando avevano toccato i 40 dollari (ora sono attorno ai 4 dollari), ma Colella non appare preoccupato.
«Wall Street è impaziente e vorrebbe che crescessimo del 60% l’anno – spiega – io invece voglio crescere gradualmente, al ritmo del 30% l’anno. I nostri grandi investitori continuano a darci fiducia e va bene così».
L’app che scopre se sei depresso
Fra tutti i problemi della salute, quello che sta più a cuore di Colella è sempre la depressione. «Tutte le famiglie hanno qualche storia di depressione, che è una vera malattia e può essere curata se la si riconosce come tale e non la si bolla come una debolezza – spiega con passione – personalmente, ho deciso di donare tutto il mio patrimonio, prima di morire, alla ricerca sulla depressione e se fonderò una nuova startup, sarà nel campo della psichiatria, per applicare le nuove tecnologie alla cura delle malattie mentali, sempre più diffuse anche a causa dell’invecchiamento della popolazione».
Anche Castlight è attiva su questo terreno: ha sviluppato una app (già adottata da Sprint per i suoi 42 mila dipendenti) capace di individuare segnali d’allarme nelle condizioni degli utenti. Se un lavoratore, per esempio, ha una storia di dolore cronico che può generare ansia o depressione, si vede apparire sullo smartphone il messaggio “Ti senti sopraffatto?”. Se clicca sul messaggio, trova un questionario per capire il suo umore e, sulla base delle sue risposte, riceve raccomandazioni per curarsi e l’offerta di un programma di terapia online (ne ha parlato il Wsj QUI).
Inventarsi il lavoro, senza paura di rischiare
Qual è il fuoco sacro che continua a spingerlo a rischiare, chiedo a Colella. «Beh, per fare l’imprenditore devi essere un po’ matto – mi risponde – quando io ho abbandonato la professione di psichiatra, tutti i miei amici italiani mi hanno detto che ero pazzo. Avevo 36 anni e, secondo loro, ero “sistemato”. Ecco forse in Italia c’è ancora troppo la mentalità del “sistemarsi” con un posto di lavoro. Qui nella Silicon Valley nessuno “cerca lavoro”, tutti ce lo inventiamo, con una grande passione e senza paura di rischiare».
Maria Teresa Cometto
Nota: questo articolo è stato pubblicato con alle 14.30 di martedì 6 settembre il titolo: «Storia del primo italiano che ha fondato e quotato una startup negli Usa». Alcuni lettori ci hanno fatto giustamente notare che il primo in realtà è stato Enzo Torresi e abbiamo modificato il titolo e una parte dell’articolo alle 15.07 dello stesso giorno.