Alex Corlazzoli descrive in prima persona il suo viaggio nella struttura modello di una didattica innovativa e moderna: spazi colorati e accoglienti e aule disciplinari attrezzate per l’insegnamento delle varie materie, dall’arte all’informatica
Quando entri in una scuola e la bidella (chiamiamola ancora in questo modo per capirci) è orgogliosa di farti da guida per mostrarti quanto è bello il luogo dove lavora, hai già capito che stai per conoscere un istituto che non ti lascerà indifferente. Ed è proprio così quando metti piede nella ‘scuola secondaria di I grado Piersanti Mattarella di Modena.
Un ambiente colorato e moderno
Se visto da fuori potrebbe sembrare un po’ grigio (necessiterebbe di un bel murale) dentro cambia faccia. Ad accogliermi è un amplio spazio colorato, con soffitti alti, arricchito da divanetti verdi in stile design moderno. Al soffitto dei lampadari a cerchio blu, rossi, viola che emanano una luce delicata che non serve accendere fino a sera viste le grandi vetrate che illuminano naturalmente l’agorà della scuola. Basta questo per rendersi conto che non siamo in un vecchio istituto dove i ragazzi non hanno nemmeno lo spazio per incontrarsi.
Senza accorgermene passo davanti a una colonnina nera dove ogni studente ogni mattina appoggia il suo badge e la sua presenza è automaticamente scritta nel registro elettronico. Appena mi inoltro tra le classi, mi balzano all’occhio gli armadietti colorati degli studenti. Ognuno ha il suo, con una chiave. Dentro di me penso: «Saranno imbrattati». E invece non ne trovo uno con una scritta, con un cuore, con un “W Juve”. Passo di aula in aula accompagnato dalla collaboratrice.
Le aule disciplinari del metodo Dada
Mi accorgo subito che non c’è la prima A, la seconda B, la terza D. Su ogni porta c’è “aula di lettere”, “aula di arte”, “aula di matematica”. Sono aule disciplinari, dove gli apprendimenti sono in movimento e dove ogni docente ha il suo spazio specifico dove far convivere strumenti e metodologie specifiche secondo la sua vocazione culturale e di insegnamento. È il metodo Dada: qui gli studenti, responsabilizzati, si spostano fra un’aula e l’altra. Si trovano così nelle condizioni di divenire sempre più i soggetti attivi, i protagonisti, della costruzione dei loro saperi e della loro formazione. E chi pensa che i ragazzi si distraggano si sbaglia: l’approccio dinamico e fluido del progetto considera gli spostamenti degli studenti uno stimolo energizzante. Lo testimoniano anche accreditati studi neuro-scientifici, che ci indicano come il modo migliore per attivare la mente sia mantenere in movimento, anche leggero, il corpo.
Il relax nelle classi
Al Mattarella non stanno certo fermi. Si capisce anche da queste aule che c’è movimento. Entri e sono tutte attrezzate con una lavagna multimediale e con un lavandino, perché ogni classe può essere un laboratorio. I banchi sono a isola in modo da rispondere alle esigenze di flessibilità di lavoro necessarie per la didattica proposta. In fondo all’aula c’è un’ampia zona dedicata al relax con una finestra che si apre sull’aula stessa permettendo un contatto visivo costante. Il sostantivo relax in una classe già sembra strano. Mi avvicino e ci sono persino dei comodi cuscini, diversi in ogni aula. Stento a crederci, ma è così. Mai visto in Italia nulla di questo genere.
Attrezzature e spazi per ogni materia
Quando esco da un’aula e cammino nel corridoio mi accorgo che sto per entrare in una nuova area: i singoli dipartimenti disciplinari sono identificati con un colore e con un elemento iconografico caratterizzante: arancione – dipartimento di lettere; verde – dipartimento di matematica; lilla – dipartimento di lingue; ocra – aule laboratorio specializzate. La bidella mi accompagna poi al secondo piano: l’aula dedicata all’informatica è dotata di tablet, qui si impara a fare programmazione, coding. Non manca nulla: c’è anche un carrello per portare i dispositivi da un’aula all’altra perché anche loro sono in movimento. L’ultimo spazio che vedo è quello dedicato all’arte: non una classe qualunque, ma la più grande, la più luminosa, la più attrezzata. Al primo piano ci sono la palestra e il laboratorio di musica.
Una struttura curata in ogni dettaglio
Una scala punta verso l’alto. Parte dall’atrio d’ingresso. Va verso il giardino pensile: ancora non è in uso, ma lo sarà presto. Mi resta una curiosità: vedere i bagni. Anzi provarli. Quando metto piede nella toilette ho la sensazione di non essere a scuola, ma in un bagno dell’aeroporto: pulito, ordinato. C’è la carta igienica, c’è il sapone. Verrebbe da dire «ovvio», ma in questo Paese non è così. Anche lì non trovo una scritta, uno scarabocchio. Ancora una volta trovo invece la conferma di ciò in cui credo sempre più: «La bellezza salverà il mondo».
Il modello di scuola bella e funzionale
Ecco, una scuola bella è utile, è comoda, è accogliente, è funzionale, ma soprattutto educa alla bellezza, al senso di comunità e di appartenenza, al rispetto per l’ambiente. Non ci sarà bisogno di fare più di tanto educazione civica in questo istituto perché i ragazzi la vivono. L’ultimo che incontro è il dirigente: Daniele Barca. Non è un caso vederlo alla fine del percorso: poco prima era impegnato in un’altra intervista. Perché questa è la scuola modello. Una scuola possibile. Una di quelle che per ora resta un’utopia in molte realtà. Ma se la struttura non si può avere ovunque, questa metodologia, quella della didattica in movimento, si può adottare ovunque.