Anni fa lessi un libro che mi sorprese e illuminò perché finalmente trovai una spiegazione chiara e convincente del termine strategia. Il libro si intitola Good Strategy/Bad Strategy e l’autore è Richard Rumelt.
Strategia è un termine tra i più usati e abusati. Che si parli della campagna acquisti di una squadra di calcio o dei prossimi modelli di una casa automobilistica o delle scelte politiche di questo o quel partito, gli interlocutori non mancano mai di usare i termini «strategico» o «strategia». Se è comprensibile e accettabile, perfino fisiologico, che nell’intercalare quotidiano si faccia ricorso a queste parole per sottolineare un passaggio o una scelta ritenuta importante, preoccupa il loro continuo uso superficiale e approssimativo anche quando ci sarebbe bisogno di profondità e solidità di ragionamento. Peggio, spesso si utilizza questo termine per nascondere una reale mancanza di contenuti e per pura promozione, se non propaganda.
Come afferma Nanni Moretti nella celeberrima scena del film Palombella rossa, «le parole sono importanti» perché rappresentano principi, idee, assunti e come tali devono essere usate con attenzione e precisione. Troppo spesso non è così e il libro di Rumelt mi aiutò a comprendere il reale significato di strategia e perché spesso la usiamo in modo del tutto erroneo e fuorviante.
Innanzitutto, cosa non è strategia?
Strategia non è Definire missione, valori e ambizioni. Avere una missione e perseguire degli ideali non è equivalente ad avere una strategia, anche se ovviamente essi sono elementi essenziali e ineludibili per poterne declinare una. Per esempio, dire che si vuole essere sostenibili o che si vuole perseguire l’eccellenza nella fornitura di un servizio non definisce in alcun modo una strategia, ma solo una legittima ambizione. Se fosse così facile ottenere un effetto solo perché abbiamo l’ambizione e la volontà di ottenerlo non ci sarebbero più problemi. Ma avere una strategia non è aprire un libro di desideri, così come la buona politica non è semplicemente proporre vaghi ideali o accattivanti promesse elettorali.
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Strategia non è Avere un obiettivo. Un obiettivo è una declinazione specifica e auspicabilmente quantificabile di ciò che si vuole perseguire e ottenere e, in questo senso, è una forma di ambizione più precisa e articolata. Tuttavia, avere un obiettivo non implica che esista anche una strategia. Dire, per esempio, che si vuole ottenere la carbon neutrality entro il 2030 non è una strategia. È un modo come un altro per esprimere un obiettivo; ma in assenza di qualche ulteriore elemento che faccia capire come quell’obiettivo possa essere raggiunto, si tratta solo di una dichiarazione vuota. Quando nell’attuazione di una strategia si dice che «esistono problemi di esecuzione» spesso non si fa altro che rivelare inconsciamente che è stato definito un obiettivo senza che sia stato anche indicato, o sufficientemente precisato, come esso potrà essere perseguito e raggiunto. La difficoltà sta proprio nel trasformare un’ambizione in un fatto concreto, un traguardo raggiunto, una realtà osservabile.
Strategia non è Le scelte dei capi. Spesso si usa il termine «strategia», o meglio, l’aggettivo «strategico», per identificare una scelta del top management. Il termine è quindi utilizzato per qualificare il livello gerarchico responsabile della decisione: strategico sarebbe ciò che si decide «colà dove si puote». Nulla di più distorto. Non è il livello gerarchico che qualifica scelte e decisioni come strategiche, ma la loro natura e qualità. Strategia non è Non smettere mai. Per altri, avere una strategia sarebbe equivalente ad affermare la determinazione nel perseguire un obiettivo, la costanza nel ricercare un risultato, la perseveranza nell’operare verso la meta agognata. Ovviamente, la strategia è tutt’altro, anche se indubbiamente avere costanza, perseveranza e determinazione è un fattore insostituibile e ineludibile se si vuole avere successo.
Per ovviare a queste criticità e carenze, Rumelt spiega che una strategia è composta da tre elementi chiave: diagnosi, politiche di indirizzo e programma di lavoro.
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La diagnosi definisce e spiega la natura della sfida che l’organizzazione si trova ad affrontare. La sfida può essere un problema da risolvere come, per esempio, un cambiamento tecnologico che rende poco competitivi i prodotti dell’impresa, oppure un’ambizione da perseguire, come il riuscire a cogliere una nuova opportunità di mercato che nasce grazie all’emersione di nuovi bisogni e necessità. Certamente una buona diagnosi deve essere in grado di fornire una caratterizzazione il più possibile semplice e comprensibile della sfida da affrontare.
Le politiche di indirizzo identificano l’approccio, i criteri e i principi secondo i quali affrontare la sfida. Per esempio, l’impresa potrebbe lanciare sul mercato un nuovo prodotto con caratteristiche innovative o cambiare il modello di business. Per farlo, deve definire le logiche secondo le quali sviluppare questo programma, i criteri decisionali e di valutazione di impatto, le tipologie di risorse e partnership che dovranno essere utilizzate.
Il programma di lavoro definisce in modo dettagliato la sequenza di attività e azioni che permettono di realizzare quanto definito dalle politiche di indirizzo. È ciò che guida e indirizza una efficace execution, senza la quale nessuna strategia ha il benché minimo valore.
In generale, avere buone intenzioni od obiettivi ambiziosi non basta per dire che si ha o che si sta perseguendo una strategia. Si ha una strategia quando si è in grado di analizzare e comprendere il problema da affrontare e soprattutto quando si è capaci di definire e mettere in campo una serie di azioni concrete per indirizzarlo e risolverlo.
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Malauguratamente, molte delle discussioni e dibattiti ai quali assistiamo fanno un uso superficiale e banale del termine strategia. Non è un caso se molte imprese non riescono a ottenere risultati positivi nonostante ambiziosi proclami e dichiarazioni. E non è un caso che tutto questo accada anche nella politica nazionale, qualunque sia il colore della forza politica al Governo. Una vera strategia, una strategia concreta e vincente, deve basarsi su un piano fattibile e sulla capacità di esecuzione del programma di lavoro identificato.
Non è difficile avere ambizioni, desideri e obiettivi. È difficile definire modalità concrete per tradurli in impatto, effetti concreti, sostanza. Ecco perché non è facile definire e attuare una buona strategia.
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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un estratto del libro “Alla ricerca del buon management”, edito da Egea, di Alfonso Fuggetta, professore ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano ed è stato Faculty Associate presso l’Institute for Software Research della University of California, Irvine.
Come Amministratore Delegato e Direttore Scientifico di Cefriel (dal 2005) si occupa di orientare le strategie del centro nei progetti di ricerca e innovazione e di stimolare il raccordo tra mondo accademico, istituzioni e imprese. Attualmente è parte del Gruppo Tecnico Politiche Industriali e Impresa 4.0 di Assolombarda e da maggio 2019 è membro del Comitato Educazione-Impresa della Commissione Nazionale Unesco.