Non hanno la vista, ma la disabilità non li ha fermati. Perché la scienza “non è solo scrittura” dice Michele Mele, autore del libro L’Universo tra le dita, un saggio che raccoglie la storia di dieci personalità, del passato e del presente, che si sono contraddistinte per i loro studi e le loro scoperte. Nonostante la cecità.
La matematica non è solo scrittura di formule, ma è fatta di concetti “percepiti dall’occhio della mente”. Non è insomma indispensabile la vista: con StartupItalia sintetizza così Michele Mele, ricercatore dell’Università del Sannio di Benevento, 30 anni e ipovedente, autore del Libro L’Universo tra le dita. Un saggio – già alla terza ristampa – edito da Efesto, che documenta la storia, le imprese e le scoperte di dieci scienziati senza la vista, sia del passato che viventi.
“Su chi non ha la vista stereotipi che ingabbiano”
L’obiettivo del volume, si legge nel comunicato, è proprio “contrastare i pregiudizi che ancora circondano chi non può contare sulla vista”. Si associano a determinati mestieri, “vengono ingabbiati in alcuni stereotipi come quello del centralinista” ragiona Mele. Li si svilisce, e spesso “li si allontana in età precoce dalle discipline scientifiche”. Un errore a cui si arriva solo per pregiudizio, “che anche io ho sperimentato, essendo una persona di scienza” racconta. Basta pensare che “esistono – forse centinaia – tra cantanti, artisti, lettori, filosofi, per non parlare di avvocati – se ne contano circa 200 – attualmente viventi e senza la vista”. Di scienziati invece se ne contano pochissimi.
Le tecniche per superare le difficoltà nel leggere e nello scrivere
Mele è andato così a cercarli nella storia, e nel presente. Alla scoperta dei loro vissuti, ma anche dei loro studi e invenzioni, e delle tecniche utilizzate per superare le difficoltà procurate dalla mancanza della vista. “Ognuno le ha risolte a modo proprio” rivela Mele. Anche perché, per gli scienziati del passato non esistevano né braille né tecnologia di lettura assistive. Su cui lo stesso autore può contare: “Mi affido a questi sistemi anche perché il braille non può rappresentare la matematica”. Mentre al lavoro “se per esempio non riesco a leggere una formula posso contare sulla collaborazione del mio gruppo di ricerca”, assicura.
Gli scienziati senza vista nella storia e nel presente
Sono dieci le personalità raccontate nel libro, sei del passato e quattro di oggi. Per le ricerche, spiega Mele, “mi sono affidato a Internet oppure a enti di eccellenza come la biblioteca del Congresso statunitense o l’università di Cambridge”. C’è per esempio Nicholas Saunderson, matematico vissuto a cavallo tra Seicento e Settecento. E poi John Metcalf, primo ingegnere della storia a specializzarsi nella costruzione di strade. “Andava a cavallo da solo, girava per le foreste con un bastone e fu così che, con l’aiuto dei sensi – meno quello della vista – individuò i percorsi ottimali per le strade” chiarisce Mele. Benché fosse non vedente dalla nascita e oltretutto in un’epoca ben lontana dall’invenzione del braille. Al contrario fu proprio Abraham Nemeth, altro scienziato incluso nel libro, a sviluppare un primo metodo per studiare l’alta matematica in braille. E ancora, tra le figure narrate c’è quella di Damion Corrigan, scienziato inglese senza la vista e inventore del test Covid salivare. Compare anche qualche donna, come Mona Minkara, professoressa di Boston, non vedente e impegnata negli studi sulla sicurezza dei vaccini.
La matematica serve a risolvere problemi pratici
L’errore – sottolinea l’autore – è “nel preconcetto per cui si crede che matematici e fisici svolgano un lavoro visivo”. Alla base “ci sono invece intuizione e ragionamento”, che sono quelli che servono anche per la branca della materia a cui si dedica Mele, l’Ottimizzazione combinatoria. La matematica in definitiva “serve a dare risposta a problemi di natura pratica”. Come può essere “il piano di vaccinazione o come lo è gestire gli spostamenti in aeroporto di masse di viaggiatori”.
“La disabilità non ci definisce”
Mele si occupa proprio di questo con il suo team, di “modelli e algoritmi per problemi di larga scala”. È ipovedente dalla nascita, la sua è una eredodegenerazione retinico-maculare. Ma la disabilità, spiega Mele, “non è che una delle tante caratteristiche di una persona, come essere alti o biondi”. Non deve – in buona sostanza – “definire una persona”, così come non può inibirne le passioni o le ambizioni.