Per il nostro format alla scoperta dei protagonisti del venture capital, decima puntata con l’intervista a Giovanna Voltolina, direttrice di GV Holdings. «Ho una cassetta e molti attrezzi. L’imprenditore ha bisogno di una mano visto che ha sempre tanti progetti e mille cose da seguire»
«Ho bisogno di stimoli continui. Non amo affatto il lavoro d’ufficio. Mi piace vivere l’azienda più da vicino». Giovanna Voltolina, direttrice di GV Holdings, società con sede a Lugano in Svizzera, è la nuova protagonista del nostro format – siamo alla decima puntata – in cui incontriamo i protagonisti dell’ecosistema VC che investe e fa crescere l’innovazione in Italia. Studi in Svizzera e negli Stati Uniti, ha lavorato a Londra specializzandosi poi nel settore equity. È attualmente nel board di Deghi, stella nascente nel mondo e-commerce, board member di Matipay leader italiana nel mondo dei pagamenti digitali nelle vending machines e in E-novia, Gruppo Industriale di Deep Tech quotato all’Euronext Growth. È convinta che per far crescere un’azienda un investitore debba lavorare gomito a gomito con founders e Ceo, non nell’operatività giornaliera ma portando il bagaglio di esperienze vissute in tante aziende diverse.
Quali sono state le prime esperienze che ti hanno formato?
Quando ho lavorato per Motion Equity Partners, un fondo paneuropeo, mi sono resa conto che stavo sviluppando un’idea chiara di cosa volessi fare. Affiancare un imprenditore nella crescita. Ho capito anche cosa non faceva per me. Grandi operazioni di buy out dove l’ingegneria finanziaria era necessariamente protagonista e dove quasi sempre le aziende venivano affidate a manager provenienti da tutt’altro background. Nel frattempo ho anche capito che proprio non mi piaceva il lavoro di ufficio. Così, ogni volta che c’era la necessità, mi candidavo per progetti on-site, per supportare l’azienda nella crescita. Era atipico ma mi ha aiutato a formarmi, a comprendere l’azienda, i suoi ritmi, le difficoltà che ci sono dietro alla concretizzazione di un’idea, di un progetto, di un budget.
Quel è il tuo metodo?
Ho una cassetta e molti attrezzi. In ogni situazione servono cose diverse. L’imprenditore ha bisogno di una mano visto che ha sempre tanti progetti e mille cose da seguire. I nostri interessi sono allineati e sono convinta che chi guida abbia bisogno di una persona che porti avanti la sua linea. Io sono utile quando aiuto le seconde linee a crescere e di diventare problem solver.
In quali aziende ti concentri soprattutto?
Non ho mai scelto dei settori in particolare anche se quello che hai fatto nel tuo percorso inevitabilmente ti caratterizza. Ho lavoro molto nel mondo dei consumer good, dei servizi e del retail. Negli ultimi anni mi si sono presentate delle occasioni uniche di lavorare per aziende del mondo tech. Io non provenivo da quel mondo e lavorarci mi ha fatto capire moltissime cose, mi ha insegnato a vedere l’organizzazione e il lavoro in modo alternativo e riportare concetti nuovi nel mondo della ‘old economy’.
Nell’ultimo report di StartupItalia sull’ecosistema presentato a SIOS23 Summer è emerso il periodo di crisi della raccolta di capitali. Come commenti questo periodo?
Quando si parla di startup e di investimenti si discute solo dei comparti di investitori classici e ora anche del crowdfunding. La verità è che la startup per poter sopravvivere al suo stadio e diventare impresa a tutti gli effetti ha necessità di consolidare il suo modello di business, generare un portafoglio clienti, fatturare e vedere all’orizzonte il traguardo della marginalità positiva. Le aziende in generale e le PMI dovrebbero diventare il primo investitore in startup italiane, con forti incentivazioni da parte del Governo a farlo perché questa vicinanza non solo gioverebbe allo sviluppo tecnologico delle nostre PMI ma permetterebbe alle startup di immergersi da subito nel mondo reale affrontando domanda, necessità e modus operandi di quelli che dovrebbero diventare i suoi clienti.
In questo momento si ragiona molto di intelligenza artificiale. Pensi che aumenteranno gli investimenti nel settore?
Certamente. Non sarà un percorso facile e il livello di rischio in questo ambito è alto perché i modelli di business non sono ancora chiarissimi. Del resto un focus su questo mondo e una spinta economica saranno inevitabili per passare ad un livello di maturità diversa.
Cosa serve all’Italia per recuperare terreno rispetto ad altri Paesi?
Noi abbiamo politecnici eccellenti e giovani innovatori che non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi europei. Questa innovazione però, molte volte rimane teoria perché non c’è un meccanismo fluido di innesto nelle aziende non solo le large corporate ma le medie imprese che avrebbero un bisogno enorme di cambiare passo dal punto di vista tecnologico per poter crescere a ritmi diversi di quelli attuali.
Come si fa ad attirare l’attenzione di un VC?
Ci sono molti fattori che possono determinare l’interesse di un VC verso un’azienda che dipendono innanzitutto dalla vocazione, dalla specializzazione e dagli obiettivi dell’investitore, così come fattori esterni quali le condizioni di contesto, specifici settori a significativa crescita. Poi ovviamente quelli endogeni, che sono molteplici ed eterogenei: il tasso di crescita, la potenzialità del mercato di riferimento, i vantaggi competitivi, la timeline di break even. Al punto da rendere peculiare ogni singolo deal. Tra questi a mio parere e volendo fare un esercizio di esemplificazione io guardo principalmente il ‘fattore bambù’ ovvero il grado di tenacia e di flessibilità del team: da quella prima idea cambierà tutto mille volte, sorgeranno ostacoli di ogni tipo, tirerà vento, si dovranno affrontare problemi costanti. Ma se il team è fatto di bambù e non di querce sopravviveranno e si rafforzeranno.