Minima lavorazione, cover crops, mappatura satellitare e irrigazione mirata. Con queste nuove tecniche produttive sostenibili “rubate” dal Kentucky, in Pianura Padana, una startup, sta arginando la siccità del torrido 2022. “Il carbon farming e l’agricoltura di precisione, utilizzate negli Usa già da un ventennio, ci hanno permesso di affrontare anche la siccità e limitare le perdite”
Una risposta alla siccità anomala di questo torrido 2022 viene dall’agricoltura 4.0 e dal carbon farming (agricoltura rigenerativa). La hanno sperimentata e messa in pratica nella provincia di Milano, a Settala, i fratelli Ezio e Matteo Parapini. Poco più di 50 anni in due (Ezio 30 e Matteo 21), dopo aver studiato e “rubato” i segreti delle nuove tecniche di coltivazione cerealicola del Nord America (in grado di conciliare sostenibilità, rispetto dell’ambiente, stoccaggio del carbonio nel suolo, rilascio minimo di pesticidi e uso oculato delle risorse idriche con la produttività e la qualità) dal 2018 hanno iniziato ad applicarle alle porte di Milano. Nel 2020 è nata la Parapini Agricolture che, unendo agricoltura di precisione, mappatura satellitare dei terreni, sensori nei campi, centraline idriche, mezzi agricoli di ultima generazione collegati a un software centrale (che raccoglie, incrocia e analizza i dati) all’adozione delle tecniche della minima lavorazione (senza aratura dei terreni) e delle cover crops (coltivazioni di copertura tra il raccolto e la semina successiva di cereali), hanno permesso alla neonata azienda, in questa annata di estrema siccità, di limitare le perdite e mantenere una produzione di qualità all’insegna della sostenibilità.
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L’innovazione sostenibile del carbon farming per combattere la siccità
“Già a marzo, quando si semina il mais – racconta a StartupItalia Matteo Parapini – i terreni della Pianura Padana erano estremamente secchi e induriti, viste le scarse precipitazioni del primo trimestre del 2022. I nostri campi, no. Abbiamo applicato la tecnica delle cover crops, coltivando rafano a ottobre per poi coprirlo con la tecnica della minima lavorazione in primavera. Così facendo, oltre ad aver evitato l’erosione del terreno nudo esposto per mesi ai fattori atmosferici e catturato anidride carbonica in modo da ridurre l’inquinamento, abbiamo seminato in condizioni ideali, visto che il terreno è rimasto umido e dalle sostanze nutritive rilasciate nei terreni dal rafano coperto, i semi di mais hanno tratto nutrimento e acqua. Inoltre, abbiamo risparmiato carburante e giornate di lavoro, non dovendo arare”. Aver sistemato sensori nei terreni, mappato i campi grazie ai satelliti e incrociato, negli anni, i dati provenienti in diretta da trattori, seminatrici e mietitrici, ha permesso ai due fratelli di capire quanto, dove e a che distanza seminare, evitando il sovraffollamento di semi nei terreni più drenanti e meno ricchi di sostanze nutritive.
Lo stesso processo produttivo innovativo è stato usato per la coltivazione di grano tenero a ottobre 2021. Questa volta, però, a fare da coltura di copertura è stata la vigna. Inoltre, controllando centimetricamente i poderi, i due fratelli sono intervenuti in anticipo a risolvere le criticità e, rispettando i turni d’irrigazione, hanno potuto scegliere a quali campi dare priorità. “Le innovazioni produttive e tecniche – afferma Ezio Parapini – ci hanno permesso di limitare i danni. In 500 ettari a nostra conduzione e in altri circa 500 che l’altra mia azienda, Agriserv, gestisce con lavorazioni conto terzi, la produzione di grano tenero è calata del 35% rispetto allo scorso anno”. Un risultato in ogni caso non del tutto negativo se paragonato alla media della perdita della produzione di grano tenero che, secondo i dati diffusi da Confagricoltura, è stata del 50% rispetto al 2021 in Pianura Padana proprio a causa della prolungata siccità. E, con il protrarsi dell’afa e della scarsità delle precipitazioni che hanno portato il Po ben sotto i livelli minimi d’allerta, anche i raccolti di mais e soia sono a rischio.
Come produrre di più ma con meno risorse anche in annate di siccità grazie al carbon farming
“Ora che sfioriamo i 40 gradi e che non piove da tanto, siamo costretti a scegliere quali campi irrigare e quali no – racconta Ezio Parapini – ma per fortuna, grazie alla mappatura dei campi in costante aggiornamento e al database che abbiamo iniziato a costruire dal 2018, possiamo di volta in volta individuare le coltivazioni di mais e soia in sofferenza e dar loro la priorità. Vista la severa siccità e che l’acqua non basterebbe, facciamo delle scelte consapevoli. Alcuni appezzamenti, meno produttivi perché più drenanti e meno ricchi di nutrimento per le piante, abbiamo deciso di sacrificarli per salvare la produzione”. Una scelta difficile, dettata dall’emergenza ma anche consapevole e oculata grazie all’agricoltura 4.0 e all’intuizione di innovare e sperimentare attrezzature e tecniche produttive sostenibili cambiando mentalità nella conduzione aziendale.
La siccità, infatti, è stato solo un banco di prova. Il lavoro dei due fratelli, in linea con gli standard europei, è orientato a combattere il riscaldamento globale e la crisi climatica, producendo in modo sostenibile, in un Pianeta che avrà, man mano, meno risorse e più abitanti. “In questi anni di attività – afferma Matteo Parapini – le innovazioni apportate con l’utilizzo di macchine agricole intelligenti, mappatura gps, agricoltura di precisione e carbon farming, ci hanno permesso da un lato di ottimizzare la produzione, limitando al minimo e solo dove necessario l’uso di fitofarmaci e concimi e risparmiare sia in carburante che in ore di preparazione e lavorazione dei terreni, e dall’altro di incrementare la produzione di cereali nelle zone più fertili, fino ad allora meno sfruttate. Questo sempre rispettando l’ambiente. Facendo un bilancio di questi pochi anni di attività, posso dire che grazie sia all’agricoltura 4.0 che rigenerativa, riusciamo, a parità di produzione, ad abbattere i costi del 15% pur coltivando in modo sostenibile. Quest’anno abbiamo limitato le perdite. Con la siccità poteva andare peggio”. Una visione dell’azienda agricola d’avanguardia che è valsa ai due fratelli sia il premio “Impresa e valore” della Camera di Commercio di Milano, Monza e Brianza e Lodi nel 2021, sia il “Premio Innovazione” di Confagricoltura nel 2022.
La siccità 2022 come banco di prova: il carbon farming è una delle soluzioni prese in esame dalla UE
“Questo è un anno molto difficile per tutte le coltivazioni – afferma Ezio Parapini – sia dal punto di vista climatico sia economico. Voglio vedere questa stagione agraria come un insegnamento per migliorare in futuro”. E dal passato i due fratelli Parapini stanno imparando. Hanno capito l’importanza di coniugare l’esperienza acquisita in secoli di coltivazione ai nuovi strumenti tecnologici. Per questo motivo, partendo dall’azienda di famiglia e costruendo una banca dati consultabile sempre e in continuo aggiornamento, hanno voluto fondersi con l’azienda del padre Giuseppe per accogliere sì le sfide del futuro in modo consapevole, ma valorizzando il patrimonio di saperi acquisito. Se in un anno torrido come questo (in cui nei primi 6 mesi si sono registrate il 53% delle precipitazioni in meno rispetto alla media della Pianura Padana, stando ai dati diffusi dal Joint Research Centre) l’innovazione e l’agricoltura rigenerativa hanno limitato le perdite, è anche vero che sono ancora poche le aziende che in Italia stanno sperimentando il carbon farming.
Certo, stando ai dati pubblicati dopo l’analisi dell’utilizzo delle cover crops in Kentucky, questo nuovo metodo di coltivazione potrebbe dare una grossa mano alla lotta ai cambiamenti climatici e al raggiungimento degli obiettivi dei programmi europei Green New Deal (Patto Verde europeo che ha come scopo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050) e Farm to fork (il piano messo a punto dalla Commissione europea per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente che punta a incrementare i terreni agricoli destinati a colture biologiche fino al 25% entro il 2030 e ridurre del 50%, entro la stessa data, l’uso di pesticidi chimici in agricoltura). È per questo che, dopo una prima sperimentazione durata 7 anni in Puglia, Campania, Piemonte e Basilicata, la Commissione europea ha finanziato il progetto Life C (coinvolgendo centri di ricerca, Università e aziende agricole) per capire quanto l’agricoltura rigenerativa possa impattare positivamente sull’ambiente. Lo scopo è quello di incentivare l’utilizzo di queste nuove pratiche con aiuti agli agricoltori da inserire o sull’asse I della Nuova Pac (Politica agricola comunitaria) o sull’asse II.
Si sta pensando, guardando al modello americano, anche a una sorta di scambio di compensazioni. In pratica, l’azienda agricola che, applicando il carbon farming, dimostra di essere sostenibile e catturare nel terreno più anidride carbonica di quanta ne produce, venderebbe la quota green in eccesso alle industrie e alle aziende che, per forza di cose, non possono eliminare del tutto l’inquinamento atmosferico. Un business, per gli agricoltori italiani, stimato intorno ai 56 milioni di euro. Ma parliamo ancora di ipotesi. L’unica certezza è che la Commissione europea ha cofinanziato, all’interno del programma Life C, il progetto della durata di 18 mesi Carbon Farming Certification System (condotto per lo più in Lombardia e al quale partecipano l’Università della Tuscia, Crea, Confagricoltura, Reteclima, Terrasystem, Pefc Italia e FederlegnoArredo) che ha come obiettivi sia quello di accreditare gli enti che potranno stabilire la così detta impronta ecologica aziendale (la capacità di un’impresa di assorbire i rifiuti generati e rinnovare le risorse utilizzate in base agli ettari di bosco, pascoli e terreni coltivati anche con con le cover crops) sia quello di raccogliere dati e promuovere l’agricoltura rigenerativa.
Pensare di risolvere il problema del riscaldamento globale solo con le cover crops è pura utopia, visti anche gli enormi investimenti che le aziende agricole dovrebbero mettere in campo (solo i fratelli Parapini, dal 2018 a oggi hanno investito circa un milione di euro per digitalizzare e rimodernare). Ma partendo dai dati incoraggianti su come sia possibile affrontare la siccità in Pianura Padana cercando di arginare le perdite, l’agricoltura del futuro non può non tenere conto delle innovazioni 4.0 e della sostenibilità.