«Mi è servito lavorare mentre studiavo ingegneria al Politecnico di Torino. La passione per le rinnovabili è nata durante un viaggio in Germania con mio padre, dove abbiamo visto impianti che generavano energia in ambito zootecnico. La produzione di energia è sempre stata in capo a grosse realtà, ma con fotovoltaico ed eolico ho visto crescere il trend per una delocalizzazione». Federico Sandrone, classe 1987, è l’amministratore delegato di COESA, azienda fondata nel 2012 a Torino attiva come General Contractor per l’efficientamento energetico. Con lui abbiamo parlato di transizione ecologica, di filiere e di opportunità per l’Europa, ora che il mercato delle rinnovabili è in buona parte in mano a soggetti cinesi.
All’Italia conviene dire di no al nucleare?
Di recente COESA ha organizzo un appuntamento a Torino, ESC – The Next Energy, per ragionare di competitività e strategie a lungo periodo. Fortunatamente l’Europa ha saputo sopravvivere al ricatto di Putin sull’energia dopo l’invasione dell’Ucraina, differenziando e riuscendo a importare gas da altri Paesi fornitori. Quel che però non sembra chiaro è il piano di Bruxelles e dei singoli Paesi membri. Come faremo di fronte alle prossime crisi?
Stefano Buono, Founder e Ceo di newcleo, era tra gli speaker e ha parlato di energia nucleare, lui che rappresenta una delle scaleup italiane più interessanti a livello internazionale. Quanto sarebbe autolesionista non considerare le potenzialità delle nuove tecnologie, soprattutto se riuscissero a garantirci un futuro più sicuro e sostenibile?
Sandrone parte da un concetto di mix energetico – «Lo spiegano al primo anno di ingegneria» – per presentare il suo approccio alla transizione ecologica. «Come azienda semplifichiamo i processi per le rinnovabili, ma questo non vuol dire che vanno demonizzate le altre fonti». L’Italia ha detto no al nucleare con uno storico referendum nel 1987. A distanza di quarant’anni ancora si respirano certe divisioni ideologiche che, anzitutto, non tengono in considerazione l’avanzamento tecnologico in materia.
«Il nucleare è fondamentale per avere una base-lane di consumi: è una fonte in grado di produrre costantemente, senza batterie o interruzioni dovute al clima. Un paese deve avere un mix energetico». Serve dunque un approccio pragmatico al tema, tenendo conto che grazie a ricerca e sviluppo, agli investimenti e alle startup l’Europa può acquisire competitività e, soprattutto, aggiudicarsi maggiore autonomia energetica.
Insieme ad altri attori del panorama industriale italiano, COESA ha dunque deciso che dal prossimo anno pubblicherà un paper con linee guida. «Inseriremo coperture e obiettivi. Secondo me un Paese deve aver zoccolo di produzione energetica di almeno il 20%».
Perché puntare sulle fonti rinnovabili?
Se l’Italia sfruttasse gli oltre 300 chilometri quadrati di coperture su stabilimenti e capannoni industriali per installare impianti fotovoltaici libererebbe secondo COESA un potenziale di investimento tra i 30 e i 36 miliardi di euro. E, così facendo, contribuirebbe ad aggiungere 30 GW alla produzione di energia elettrica nazionale da fonti rinnovabili e coprire il 60% del target totale di 50 GW, secondo la traiettoria tracciata dal pacchetto Fit-for-55 dell’UE.
Secondo questa ricerca pubblicata alla fine del 2023 da EY, l’Italia ha guadagnato posizioni nel mercato delle rinnovabili, ma resta ancora lontana dai Paesi leader. Stati Uniti, Germania e Cina sono sul podio: gli USA beneficiano degli incentivi senza precedenti dell’Inflation Reduction Act, mentre Berlino e Pechino hanno investito molto sull’eolico offshore.
Nel primo semestre 2023, sempre secondo i dati di EY, la capacità istallata di energia elettrica è pari al 2.5GW, ovvero un +120% rispetto al 2022. Ma è guardandosi indietro che ci si rende conto di quanto l’Italia non abbia agito in ottica strategica, secondo Sandrone. «Gli incentivi per il fotovoltaico nel 2012 erano alti, in particolare per chi acquistava prodotti europei. Dopo alcuni anni, allo scendere dei contributi, diminuivano anche i prezzi: perché si era creata una filiera soprattutto in Germania e Italia. Tolti però del tutto gli incentivi è sparito il 50% delle aziende italiane e ci siamo risvegliati nel 2024 con il 90% del settore fotovoltaico a marchio cinese».
Quali incentivi servirebbero per l’industria green?
In Europa la situazione dei bonus per l’acquisto di auto elettriche è a macchia di leopoardo. Se da una parte gli incentivi sono stati caldeggiati dalle case produttrici (come Stellantis), le misure finora adottate dai governi hanno alterato il mercato, non risolvendo ancora la questione del prezzo delle elettriche per i consumatori (ancora troppo caro).
«L’auto elettrica, è indiscutibile, guadagnerà mercato, ma il tema è come possiamo far sì che la filiera lavori senza che la Cina ci batta a livello strategico?». Secondo Sandrone l’errore è stato nel destinatario degli incentivi. «Non li abbiamo dati all’industria, ma al consumatore finale in modo che prezzo scendesse. Abbiamo investito per far acquistare al consumatore una tecnologia che non è italiana».