In occasione della Giornata internazionale della donna abbiamo raccolto gli ultimi dati disponibili che parlano di gender gap, un tema che, purtroppo, è ancora sotto l’occhio del ciclone perché dalla tanto auspicata parità di genere, in realtà, siamo ancora lontani. Proprio lo scorso anno Claudia Goldin, storica dell’economia ed economista americana, ha vinto il premio Nobel per l’Economia con i suoi studi sul gender gap, al centro di lavori decennali. Ma questa differenza di genere è tanto sentita solo in Italia? Che cosa raccontano i numeri? E nel resto d’Europa quanto è ancora forte il divario?
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L’Europa festeggia davvero la parità di genere?
Il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum posiziona l’Italia al 79esimo posto in termini di differenze di genere su 146 paesi analizzati, segnando una perdita di 16 posizioni rispetto al 2022, e ad ampia distanza rispetto a numerosi Paesi dell’eurozona. Nell’UE, le prime posizioni in termini di parità di genere sono occupate da Finlandia, Portogallo e Francia. A rivelarlo sono i dati Eurostat sui seggi parlamentari assegnati a donne, sulla base dei quali Finansvalp ha redatto una classifica che prende in considerazione i posti dirigenziali occupati da donne e il reddito netto medio. In pole position troviamo, dunque, la Finlandia, con un’elevata percentuale del genere femminile che ricopre ruoli senior, e che rappresenta il 72,4% dei seggi nel governo nazionale, la percentuale più alta di qualsiasi altro paese dell’UE. La Finlandia si è classificata seconda anche per il numero di donne presenti nei seggi al parlamento, pari al 46%. Ma nonostante questo, il divario retributivo di genere sembra, però, essere ancora un problema nel Paese nordico. Nel 2022 il reddito netto medio degli uomini era pari a 27.353 euro, mentre le donne guadagnavano in media il 6,04 % in meno con 2.5.719 euro.
In seconda posizione c’è il Portogallo: nel 2022, il reddito netto medio era più elevato per le donne rispetto agli uomini dello 0,53%. Allo stesso tempo, il Paese ha la sesta percentuale più bassa di donne dirigenti, che rappresentano solo il 16,9% dei leader nelle più grandi società quotate in borsa. Terzo posto per la Francia, che vanta un’ampia percentuale di donne in ruoli dirigenziali in alcune delle sue più grandi società quotate in borsa. Nel 2022 le donne costituivano il 46,1% dei componenti dei consigli di amministrazione di grandi aziende, percentuale più alta di qualsiasi paese dell’UE. E un dirigente su quattro nelle stesse aziende è donna (29%), seconda solo alla Lituania. Con la recente iscrizione del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza in Costituzione, nei prossimi report molto probabilmente il punteggio per la nazione francese aumenterà. Al quarto posto troviamo la Svezia, a seguire i Paesi Bassi, che completano la top five dei paesi UE per quanto riguarda le donne occupate. Sesto posto per il Belgio, settimo per la Danimarca e, successivamente Spagna, Germania e Lituania. L’Italia si trova al 13esimo posto in classifica, preceduta da Lettonia e Irlanda e seguita da Slovenia, Croazia, Austria e Romania.
Il gender pay gap italiano
Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps, nel 2022 la differenza di retribuzione annua tra uomini e donne in Italia ha raggiunto i 7.922 euro. E il divario è correlato alla maggiore presenza di lavoro part -time tra le lavoratrici. Se il salario medio annuo complessivo di chi lavora in Italia è di 22.839 euro; per il genere maschile è di 26.227 euro contro i 18.305 euro del genere femminile.
Le differenze sono marcate anche tra i territori, con le retribuzioni medie nel 2022 più elevate nell’Italia settentrionale, pari a 26.933 euro, mentre per Sud e Isole le medie sono di 16.959 e 16.641 euro. Tra le isole e il Nord-Est d’Italia, invece, la differenza è di 7.333 euro. Il divario di stipendio, secondo quanto rilevato dall’Inps, risulta correlato alla maggiore presenza di lavoro part-time tra il genere femminile. Infatti, il numero di lavoratrici che nel 2022 ha avuto almeno un rapporto di lavoro part time è pari a 3.584.665, contro 2.066.260 maschi. Nel 2022, il 21% dei dipendenti maschi ha avuto almeno un rapporto di lavoro a tempo parziale, mentre tra le donne la quota di lavoratrici con almeno un part time nell’anno è pari a circa il 49%.
Gender gap e STEM
In merito al tanto discusso tema delle donne che intraprendono una carriera nelle materie STEM, il numero dei laureati italiani nelle materie scientifiche è preoccupante. Secondo l’Eurostat, oggi solo il 31,2% dei giovani italiani tra i 25/29 anni ha un laurea, rispetto agli altri Paesi europei il cui numero supera il 50%. E il gap con il resto d’Europa è ancora più evidente quando si parla di discipline STEM
(scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) dove la media dei laureati in Italia è del 6,7%, rispetto al 12-13% europeo.
Anche se il numero delle donne laureate supera quello degli uomini, secondo l’ultima analisi di McKinsey solo un laureato su tre nelle materie Stem è donna e le donne occupano solo il 22% di tutti i posti di lavoro tecnologici nelle aziende. Nel contempo, il mercato richiede 1,3 milioni di laureati e diplomati ITS entro il 2027, ma si trova a fronteggiare una mancanza di 8.700 profili specializzati all’anno. Uno scenario ulteriormente aggravato dalla circolazione dei talenti, considerato che il saldo migratorio dei laureati di 25-34 anni per il nostro Paese appare costantemente e fortemente negativo. Un divario tra formazione e lavoro che rischia di aumentare la mancanza di competenze specifiche e richiama una risposta concreta da parte del sistema educativo e del tessuto aziendale italiano anche nell’incoraggiare le giovani donne a intraprendere e proseguire una carriera in ambito STEM.