Si chiama Clarity il dispositivo creato da un ex attivista di Greenpeace per monitorare la qualità dell’aria delle megalopoli cinesi raccogliendo dati ambientali. Obiettivo: mappare l’inquinamento in tutto il mondo (in crowdsourcing)
Utilizzare la rete per creare consapevolezza su ciò che stiamo effettivamente respirando, e proteggerci adeguatamente. Per David Lu, studente di ingegneria ambientale nato e cresciuto a Shanghai e in visita all’università di Berkeley, si tratta di una questione personale, che tocca la quotidianità di milioni di suoi connazionali, e non solo, e che l’ha portato giovanissimo a mettere a punto il più piccolo sensore al mondo, facile da portare con sé come un portachiavi.
Come funziona?
Il funzionamento è molto semplice: si illumina di verde se i livelli sono entro la soglia, di rosso se non lo sono. Si chiama Clarity e rileva il livello di inquinamento presente nel luogo in cui ci troviamo.
Nelle metropoli cinesi o indiane, le concentrazioni di PM 2.5 sono infatti altissime, anche oltre 500 microgrammi per metro cubo, quando il limite consigliato sarebbe 25 microgrammi.
Dall’Università americana di Berkeley all’incubatore cinese
Forse non è un caso che Lu sia così interessato ai temi legati all’ambiente: come si legge nel suo profilo linkedin, prima di fondare Clarity nel 2014, ha lavorato cinque mesi con Greenpeace. Il dispositivo però non è nato interamente negli Stati Uniti. Dopo le prime fasi di sviluppo di Clarity all’interno dell’incubatore per startup dell’Università di Berkeley, il giovane team si è recato per tre mesi proprio in Cina presso un’organizzazione chiamata HAXLR8R, che ha permesso loro di affinare il dispositivo.
Ma è sufficiente conoscere il livello di inquinamento per proteggersi?
Posto che la questione nevralgica dell’inquinamento spropositato delle megalopoli mondiali non è trovare il modo di difendersi, quanto ridurre l’inquinamento stesso, con lo scopo di migliorare la qualità della vita delle persone, in un momento come questo in cui ciò ancora fatica ad avvenire, la possibilità di proteggersi adeguatamente per gli abitanti di una grande metropoli assume un’importanza primaria. Ma per un abitante è sufficiente conoscere il livello di inquinamento medio cittadino? Secondo Lu no. La vera rivoluzione è rendere la mappa dell’inquinamento cittadino sempre più dettagliata, in modo che l’utente possa conoscere il livello di PM 2.5 nel punto preciso della città in cui si trova ed eventualmente utilizzare una mascherina protettiva, o scegliere un’altra strada meno inquinata se sta facendo jogging.
Mappare l’inquinamento, un lavoro di gruppo
Una delle ambizioni dei sette giovanissimi fondatori è generare infatti la mappa dell’inquinamento dell’aria più dettagliata al mondo, strada per strada. Clarity è collegato infatti a una app che raccoglie i dati ed elabora delle statistiche, mappando le diverse zone della città. L’aspetto più interessante dei dati è la raccolta stessa, che avviene tramite gli utenti stessi che posseggono Clarity. Una sorta di crowdsourcing che mantiene la privacy dell’utente. Il sistema memorizza la data, l’ora, la posizione geografica, e i dati sulla qualità dell’aria, e quando è collegato alla rete, invia i dati al servizio cloud, senza alcuna associazione con l’identità di un utente.
Al momento Clarity non è ancora in commercio, ma a quanto si apprende i tempi non dovrebbero essere troppo lunghi e il costo dovrebbe aggirarsi fra i 50 e i 75 dollari.