Tra la Puglia e la Basilicata c’è un’impresa agricola che ha già assunto regolarmente quattro braccianti: tre migranti e una mamma precaria italiana
Migranti che lavorano alla coltivazione e alla raccolta di pomodori senza essere sfruttati dai caporali. Anzi, persino con un contratto regolare. Non è un sogno ma una realtà piuttosto solida, questa: si tratta di Funky Tomato, un’azienda che coltiva, raccoglie e imbottiglia pomodori a filiera partecipata. Nata da pochi mesi, Funky Tomato produce salsa di pomodoro in Basilicata, nella zona del Vulture-Alto Bradano nell’Azienda Agricola Vivai Verde Idea di Palazzo San Gervasio, e in Puglia, nell’area della Capitanata, tra Cerignola e San Ferdinando di Puglia, nelle terre concesse alla Ponte di Archimede dall’azienda Russo. “Funky” è una contaminazione tra persone: i migranti, appunto, che arricchiscono la nostra cultura.
I promotori di Funky Tomato
Tra i promotori di Funky Tomato, alcuni ragazzi che nell’agricoltura operano da anni: Paolo Russo e Gervasio Ungolo sono agricoltori, Giulia Anita Bari verifica le condizioni sanitarie dei braccianti, Domenico (Mimmo) Perrotta è sociologo, Enrico Gabrielli è perito agrario, Giovanni Notarangelo ingegnere, Mamadou Dia mediatore culturale e Giordano Acquaviva cura tutta la comunicazione dell’azienda.
I lavoratori assunti
Al momento, i braccianti assunti e contrattualizzati sono quattro: Yakouba e Walim del Burkina Faso, Mamadou del Senegal e Anita, una mamma precaria di Cancellara, in provincia di Potenza. E proprio a Cancellara Funky Tomato ha preso un appartamento per i tre ragazzi – Anita ha già una casa sua – che pagherà di tasca propria. In questo modo, i ragazzi non saranno costretti a vivere nelle centinaia di baracche e casolari in cui di solito vivono i migranti sfruttati dai caporali. Il contratto loro proposto da Funky Tomato è da bracciante stagionale: 39 ore settimanali, a 47 euro per 6 ore e 40. Dopo 52 giorni di lavoro, poi, sarà possibile chiedere il sussidio di disoccupazione. Mediamente, un bracciante guadagna 3,5 euro per un cassone di pomodori da 300 Kg.
Come si finanzia Funky Tomato?
I costi per tenere in piedi l’azienda non sono certo bassi, soprattutto trattandosi di un’impresa agricola piccola, artigianale e biologica. Il prezzo per un chilo di salsa è di 1,70 euro ed è più alto rispetto al prodotto industriale. Chi acquista sono principalmente ristoratori che fanno micro-distribuzione, distributori equo solidali, minori, qualche privato. Sono proprio i clienti che hanno creduto nell’iniziativa ad aver acquistato 20mila bottiglie di salsa di pomodoro, pelati e pomodori a pezzi. Ma non è il solo modo: l’azienda infatti fa parte della rete SfruttaZero insieme a Solidaria di Bari e Diritti a Sud di Nardò, in provincia di Lecce. L’obiettivo di tutte e tre le associazioni è di realizzare bottiglie di passata di pomodoro prodotta senza sfruttamento del lavoro e con i migranti protagonisti dei percorsi. SfruttaZero coinvolge migranti, contadini, giovani precari e disoccupati e ha come scopo quello di cambiare le relazioni non solo tra datore di lavoro e dipendente ma anche tra produttori e consumatori, tra campagna e città. Proprio per questo è stato lanciato un crowdfunding sulla piattaforma di Produzioni dal Basso e che ha già raccolto un grande sostegno in giro per l’Italia, i cui proventi verranno suddivisi tra le tre realtà aderenti.
Autocertificazione partecipata e cassa del mutuo soccorso
Tra le novità, anche quella dell’autocertificazione partecipata, un sistema per garantire un percorso di reciproco monitoraggio sui temi della qualità del lavoro e delle produzioni, con mutuo supporto e condivisione di saperi e buone pratiche, e quella della cassa del mutuo soccorso, che vuole sostenere concretamente i diritti dei migranti
La piaga del caporalato
Nell’estate 2015 sono morte quattro persone sfruttate da caporali. Una piaga, quella del caporalato, con numeri da capogiro: secondo un rapporto della Flai Cgil pubblicato nel luglio 2015 e risalente al 2014, sono 400mila i lavoratori sfruttati dai caporali. Di questi, 100 mila sono «gravemente assoggettati», in condizioni definite«paraschiavistiche», mentre 80 sono gli epicentri dello sfruttamento in Italia. In 55 di questi, le condizioni di lavoro risultano «indecenti»: ciò significa che più del 60% dei lavoratori non ha accesso a servizi igienici né all’acqua corrente. Il 70%, invece, presenta malattie mai presentatisi prima dell’arrivo nei campi. La paga media di un bracciante è di 25/30 euro al giorno per 12 ore di lavoro. Il caporale chiede ad ogni lavoratore 5 euro per il trasporto sul posto di lavoro, 1,50 euro per una bottiglietta d’acqua e 3,50 euro per un panino. A Rignano Garganico c’è il primo ghetto d’Italia, che ospita mille persone: tutte persone che pagano l’affitto ai caporali, che altrimenti non li farebbero lavorare nei campi. L’Italia perde, per colpa dei caporali, 600 milioni di euro l’anno in tasse.