A fine 2017, gli Stati membri dell’UE hanno deciso di rinnovare per 5 anni la licenza per il diserbante più diffuso: a breve si dovrà prendere una decisione
Si torna a discutere sulla sicurezza del glifosate (o glifosato), l’erbicida più diffuso al mondo, per via della sua efficacia e della riconosciuta minore tossicità rispetto agli analoghi prodotti che erano disponibili quando è stato messo in commercio, ovvero negli anni Settanta del secolo scorso.
Qualche anno fa l’affaire Monsanto sembrava aver documentato il fatto che il prodotto fosse cancerogeno, ma in realtà non esistono ancora prove certe. Per esempio, l’Associazione italiana della ricerca sul cancro, interpellata sulla sua presunta pericolosità, si limita a rispondere: “Forse. In laboratorio il glifosato provoca danni genetici e stress ossidativo, ma negli studi nell’uomo la cancerogenicità non è stata ancora dimostrata con assoluta certezza”, ricordando come diversi anni fa uno studio svolto con il glifosate somministrato ai ratti sembrava averne dimostrato la cancerogenicità ma in seguito l’articolo, pubblicato nel 2012, è stato ritrattato per problemi di metodo e i dati non sono mai stati replicati in studi di qualità superiore.
Glifosate ‘alla sbarra’ dell’Ue
Per questo, visto che la pericolosità del prodotto a oggi non è mai stata dimostrata, l’8 giugno 2020 il Gruppo per il Rinnovo del Glifosate in Unione Europea (GRG), una sorta di consorzio di aziende che chiede di rinnovare l’approvazione della sostanza nell’UE, è passato al contrattacco e ha presentato alle autorità competenti un dossier contenente centinaia di studi e migliaia di articoli scientifici sulla sicurezza del glifosate, in vista della conclusione del processo di rinnovo previsto dalla legislazione UE per il 2022. La domanda è stata esaminata e valutata da quattro Stati membri dell’UE: Francia, Ungheria, Paesi Bassi e Svezia che operano congiuntamente in qualità di “relatori”, il cosiddetto “gruppo per la valutazione del glifosato” (AGG).
Attualmente, all’interno del Vecchio continente, come spiega l’Autorità preposta europea, l’EFSA, l’uso del glifosate sarà ammesso fino al 15 dicembre 2022. Ciò significa che può essere utilizzato come principio attivo nei prodotti fitosanitari solo fino a tale data, purché ciascun prodotto sia autorizzato dagli enti nazionali a ciò preposti dopo una valutazione in termini di sicurezza. A fine 2017, infatti, gli Stati membri dell’UE avevano deciso di rinnovare per 5 anni la licenza per il glifosato. Il Parlamento europeo, si legge nei verbali di quel periodo, ripete che deve essere bandito dal 2022.
In questo periodo, il gruppo di Stati per la valutazione del glifosato ha effettuato un controllo sull’ammissibilità del fascicolo presentato lo scorso anno dalle aziende interessate e che vogliono il rinnovo della licenza nell’Unione e sta, si legge sulle pagine di riferimento delle istituzioni comunitarie, valutando le informazioni presentate dal GRG. Una volta completata, questa sorta di pagella sarà trasmessa all’EFSA sotto forma di relazione di valutazione del rinnovo (RAR) per dare inizio al processo di revisione tra pari. Le conclusioni dell’EFSA e dell’Agenzia europea dei chimici (ECHA) dovrebbero essere pubblicate a metà del 2022. Le due autorità avranno sul tavolo il primo rapporto dei quattro Stati, pubblicato proprio pochi giorni fa, in cui sostanzialmente si afferma la sicurezza della sostanza anche se si raccomandano ulteriori analisi del suo impatto sulla biodiversità. L’ultimo passaggio poi spetterà alla Commissione che, sulla base dei pareri raccolti, effettuerà proposte di sintesi a livello legislativo valide per i 27.
La scienza è divisa sul glifosate?
La battaglia insomma è tutt’ora in corso e ha bisogno di dati oggettivi, scientifici, che permettano di affrontare la decisione ormai imminente con la dovuta serenità. “Il successo di questa sostanza lo si deve alla sua elevata efficacia, all’ampio spettro e al basso costo. Viene assorbito dalle piante, agisce bloccando enzimi presenti solo nei vegetali”, ha spiegato il professor Aldo Ferrero, Ordinario di Agronomia, Coltivazioni erbacee e Malerbologia presso l’Università di Torino. “Se lo sostituissimo con altri prodotti, aumenterebbero i costi, i tempi operativi e non avremmo gli stessi risultati, con maggiori emissioni di gas serra perché andrebbero usate molto più le macchine”.
Quanto alla presunta pericolosità del glifosate, il professor Angelo Moretto, Ordinario di Medicina Legale, sanità pubblica e degli ambiti di lavoro presso l’Università di Padova, sembrerebbe pronto a mettere la proverbiale mano sul fuoco: “Volendo esagerare, potremmo dire che tutte le sostanze sono di per sé velenose, dipende dalla dose. Ho incontrato il glifosate più volte – spiega il docente – e non posso dire, da tossicologo, che sia una molecola pericolosa, semmai è noiosa”, dice scherzando. “Se guardiamo alla struttura dell’amminoacido, si capisce subito che non ha profili tossicologici: è assorbito molto poco, non c’è assorbimento cutaneo, quello orale si stima che nell’uomo praticamente sia nullo, venendo eliminato con le urine, sostanzialmente tal quale. Insomma per Moretto “la sostanza ha come bersaglio solo le piante, non i mammiferi. Al più irrita cute e mucosa oculare, ma è stato sottoposto a un numero così elevato di studi che si può essere tranquilli”. “Attualmente – conclude l’esperto – il mondo della scienza non è affatto spaccato come appare sui media: il rapporto è 17 a 1, con un solo studio che definisce il glifosate potenzialmente cancerogeno e gli altri che per diciassette volte dicono che non è pericoloso, anche se in un solo caso ci sono dubbi sull’insorgenza di tumori renali benigni sulle cavie, ma a concentrazioni molto alte”.
Quanto alla tutela dell’ambiente e alla possibilità che arrivi nell’acqua, per il professor Alberto Vicari, Ordinario del dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari presso l’Università di Bologna: “L’impatto ambientale con dosi normali diffuse su tutto il campo è praticamente inesistente, si degrada in poche settimane, completamente assorbito dalle piante e dalle sostanze organiche. Non è volatile, una volta assorbito non si muove più da lì, il solo rischio è che per l’assorbimento impiega dalle 24 alle 48 ore, quindi in casi di eventi particolari, come un acquazzone dopo che è stato sparso, ci può essere qualche effetto come eventi di ruscellamento, dove si può trovare ancora liquido, senza effetti per gli organismi acquatici”.
Insomma, molti esperti concordano che non è pericoloso, ma il dibattito è ben lungi dall’essere concluso e pare anzi destinato ad acuirsi da qui al 2022. Da utenti, non ci resta che sperare che venga condotto con la dovuta serenità e obiettività, senza partigianeria da ambo i lati.