L’obiettivo del Dragone è assicurarsi le materie prime per le sue fabbriche di componenti elettronici. Le terre rare valgono più di oro, petrolio e diamanti. E l’Europa resta a guardare
In un periodo come questo in cui le sorti dell’economia mondiale restano appese alla guerra dei dazi scoppiata tra USA e Cina, la grande torta africana fa ancora più gola. E infatti il dragone cinese sferra prepotente un’artigliata da 60 miliardi con cui conta di aggiudicarsi le terre rare custodite nel ventre dell’immenso continente africano. In queste ore è stato varato infatti un pacchetto di misure economiche di rilievo per ridare ossigeno all’Africa, fatto di nuove linee di credito, prestiti a tassi zero, un fondo per lo sviluppo e diversi miliardi a sostegno dell’imprenditoria privata.
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Così la Cina ridà ossigeno a un continente in apnea anche se per la maggior parte degli osservatori starebbe puntando soprattutto alla sua sterminata riserva mineraria in una sorta di colonialismo 4.0, dove gli imperi sono stati sostituiti dalle superpotenze, le collanine e i vetri colorati da un pugno di dollari, l’oro e i diamanti da tutto ciò che oggi è essenziale per fare funzionare uno smartphone o una batteria elettrica. Solo lo sfruttamento potrebbe essere rimasto intatto.
Foto di: China-Africa Research Initiative
Terre rare, occasione perduta per l’Europa
Tutto questo, letteralmente, sotto il naso dell’Unione europea, che con il mal d’Africa fa i conti da anni e sul tema dell’immigrazione rischia di sbriciolarsi in un cupio dissolvi. Va dato atto all’attuale numero 1 dell’Europarlamento, Antonio Tajani, di avere in più occasioni fatto la Cassandra della situazione.
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Già l’anno scorso, infatti, in pieno luglio e di ritorno da un viaggio diplomatico in Niger, il Presidente del Parlamento europeo annunciava “una strategia globale di investimenti per l’Africa sino a 50 miliardi di euro nel budget 2021-2027”. Cinquanta miliardi che dovrebbero servire allo “sviluppo dell’agricoltura, di un sistema idrico efficiente, al contrasto al cambiamento climatico, alle infrastrutture, anche digitali e alla sanità”. Dove sia finito poi quel Piano Marshall tutto europeo è un mistero. E la Cina ne ha subito approfittato.
Foto di: China-Africa Research Initiative
Il piano cinese del dettaglio
Come Pechino ha approfittato anche del crescente disinteresse dell’America trumpiana per tutto ciò che è esterno ai propri confini e che le permette di insinuarsi, nonostante le scaramucce con l’attuale inquilino della Casa Bianca sul fronte commerciale, nel Continente africano così da espandere le proprie sfere di influenza.
Il piano varato dal presidente Xi Jinping e annunciato in pompa magna al Forum di cooperazione Africa-Cina è di tutto rispetto: 15 miliardi a fondo perduto di aiuti, 20 miliardi per aprire nuove linee di credito, 10 per un fondo speciale per lo sviluppo e 15 per incentivare gli imprenditori cinesi a lavorare sul territorio africano. Con in più la cancellazione parziale del debito per i Paesi più poveri.
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Nulla in realtà che fosse precluso all’Unione europea (solo il nostro Paese ha recentemente varato finanziarie da 20 miliardi, la Cina ha piantato la propria bandierina rossa su di un continente investendone in tre anni 120 in una decade), ma che la litigiosità e la scarsa lungimiranza dei politici del Vecchio continente ha impedito di progettare e attuare.
Non solo soldi: in Africa anche l’esercito cinese
Quella appena varata è la seconda tranche di aiuti in un triennio. Nel 2015 Pechino aveva sborsato altri 60 miliardi. Secondo il China-Africa Research Initiative (CARI), la Cina negli ultimi 16 anni ha prestato circa 125 miliardi di dollari al continente solo per quanto concerne il settore infrastrutturale: porti, aeroporti, ferrovie e vie di comunicazione interne. Ora il dragone rosso avvolge le sue spire attorno al continente staccando un altro assegno e aggiungendo la promessa di fornire assistenza militare gratis all’Unione africana. Dopo i soldi cinesi, insomma, in Africa potrebbero sbarcare anche i soldati: un dettaglio significativo che basta a trasformare l’operazione economica da una partita a Monopoli a Risiko.
La “trappola del debito”
Pechino naturalmente respinge tutte le accuse di neocolonialismo, mosse soprattutto dalla stampa estera che da anni critica la natura della “nuova via della seta” (Belt and Road Initiative) aperta e battuta dal presidente Xi Jinping. Gli osservatori, soprattutto i britannici (che, alcuni diranno, di colonialismo se ne intendono) infatti parlano di “trappola del debito“: la Cina starebbe avvolgendo l’Africa nella sua ragnatela, comprando gli immensi giacimenti di terre rare per pochi spiccioli e silenziando ogni possibile rivendicazione della controparte su quei giacimenti semplicemente ricordandole che, vista la sua situazione economica, non è certo in grado di trattare.
Perché il tema va affrontato senza ipocrisie
Si dirà forse che si affronta il tema con eccessiva dose di cinismo, senza preoccuparsi di parlare apertamente dell’Africa come di una torta da spartire tra i ricchi del pianeta e non come un continente da salvare che pone questioni, in primis quella demografica, da affrontare. In verità, si tenta di analizzare la questione senza lenti distorte da pensieri buonisti e perbenisti, ma con una buona dose di realpolitik. Perché i Paesi quello fanno, piaccia o no. Parigi e Roma litigano sulle sorti della Libia più preoccupate per i destini di Total e di Eni che della popolazione. Gli stessi aiuti che le istituzioni comunitarie avrebbero voluto varare, annunciati un anno fa da Tajani, non erano certo filantropia, ma miravano a frenare il flusso migratorio che sta facendo collassare le politiche comunitarie.
Siamo preparati alla nascita di una nuova Cina?
Il problema è duplice: di fronte a noi non nasce solo un neo-colonialismo a caccia di terre rare per alimentare la produzione di smartphone e batterie elettriche, ma si plasma anche il nuovo volto del colosso cinese. Chi pensa che la Cina del presidente Xi Jinping sia ancora quella dei giocattoli da pochi euro realizzati con materiali tossici e degli occhiali da sole tarocchi che fanno male alla salute, commette un grave errore di valutazione.
Foto di: China Africa Research Initiative
La Cina di Xi è ormai una superpotenza coloniale che produce ricchezza anche e soprattutto per sé, per un mercato interno sempre più in grado di accoglierla, sempre più affamato, che da produttore ha compiuto il balzo in consumatore e già si appresta a metter mano sui prodotti del futuro. E qui tornano, appunto, quelle terre rare preziose di cui il “Continente nero”, per usare un termine orribile, risalente a epoche buie e lontane, è pieno.