«Marco, il mio co-founder, all’università era una specie di star. Era stato il primo nella facoltà di scienze forestali, negli anni Settanta, ad aver trascorso un periodo di studi negli Stati Uniti. Io sono nato a Bagno di Romagna. Da sempre mi piacciono le foreste e gli alberi. In particolare mi interessa il loro ruolo negli equilibri globali». Alessandro Baccini, co-fondatore e Chief Science Officer di Chloris Geospatial, è il protagonista della prima puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo” dopo la pausa estiva. Nei mesi scorsi il dramma degli incendi e della distruzione di parte del territorio ha confermato i ritardi nella prevenzione e soprattutto nella cura dell’ambiente. Lui e Marco Albani hanno fondato a Boston una startup climate tech che sfrutta i dati satellitari per monitorare il territorio, bosco per bosco.

Quest’estate Chloris Geospatial ha chiuso un round Serie A da 8,5 milioni di dollari. A Boston, dove Baccini vive ormai da parecchi anni, fare ricerca resta stimolante anche se ha deciso di spostarsi dall’accademia per cimentarsi con una impresa impegnata in un settore – quello della sostenibilità – che gode certo di minore hype mediatico rispetto alla fase pre-pandemia. Trump, ci torneremo, non è un fan dell’argomento ambiente. Alessandroe Marco hanno frequentato l’università negli anni Novanta. «Era il periodo in cui si facevano le grandi convenzioni ambientali delle Nazioni Unite. I temi erano clima, biodiversità e desertificazione. In Italia di tutto questo però non si parlava».

Alessandro Baccini
Alessandro Baccini, co-founder di Chloris Geospatial

Imparare sul campo

Prima di diventare imprenditore, Baccini ha toccato con mano un lavoro di archivio e di ricerca, molto faticoso e per nulla digitalizzato. «Il mio primo lavoro consisteva nel raccogliere dati di campo su uno dei primi inventari di biomassa in Italia. Dal ’97 al 2000 sono stato alla FAO, a Roma, dove mi sono occupato dello stato di salute delle foreste nel mondo». Un lavoro imponente, che però non faceva sufficiente affidamento a dati satellitari come avviene oggi.

«Leggevo rapporti degli inventari nazionali dei vari Paesi per capire, standardizzare e produrre una stima». Il focus del suo lavoro riguardava il carbonio e la biomassa. «Attraverso la fotosintesi gli alberi assorbono anidride carbonica e la convertono in cellulosa, che è la componente principale del carbonio. Se togliamo acqua da un albero quel che rimane è la biomassa». Come ci ha spiegato, il 50% è composto da atomi di carbonio. «E questo è importante perché una volta che il legno si decompone o viene bruciato, a un certo punto questo carbonio torna nell’atmosfera. La concentrazione di CO2 nell’atmosfera è strettamente legata al climate change».

Marco Albani
Marco Albani, co-founder di Chloris Geospatial

Ecco perché la salute delle foreste, polmoni verdi da custodire, è fondamentale per evitare che tutti gli sforzi e gli investimenti in tecnologie non vengano rallentate. «Nel 2000 sono andato a Boston a fare il dottorato ed era concentrato sull’uso del remote sensing per stimare i dati di biomassa e carbon nella vegetazione». Ambito in cui poi si sarebbe specializzato vent’anni dopo con la sua prima startup. «Siamo stati tra i primi ad usare sensori della NASA per generare dataset che danno informazioni su quanto carbon c’è nella vegetazione dei tropici».

Com’è la vita di una climate tech ai tempi di Trump?

Negli ultimi vent’anni, prima di fondare Chloris Geospatial Baccini è stato anche a Stanford, in California, per proseguire nella sua ricerca. Ha insegnato e condotto studi in uno dei Paesi più all’avanguardia quando si tratta di tech transfer, investimenti nella scienza e collaborazione tra atenei e società. Ma con Donald Trump alla Casa Bianca e i suoi frequenti scontri con gli atenei dove si studiano ad esempio i cambiamenti climatici e come contrastarli, le cose sono meno semplici?

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«Il nostro campo non è visto come indispensabile, anzi. Gli enti pubblici come la NASA stanno tagliando budget. E questo ha ripercussioni sulla ricerca, specie in ambito scientifico e climatico». Nel corso dell’intervista è intervenuto anche Marco Albani, che ricopre il ruolo di Ceo di Chloris Geospatial. Lui ha alle spalle un lavoro in ambito corporate e consulenze, tra McKinsey e World Economic Forum. «Oggi riusciamo ad avere una contabilità a livello di singolo bosco e di singola fattoria e di singolo investimento di riforestazione». Con i satelliti lo zoom è particolarmente preciso e riesce «ad arrivare a livello operativo», consentendo così di capire il frutto di determinate decisioni.

Un occhio sulle foreste

Oggi grazie alla tecnologia è la prevenzione uno dei fattori su cui fare leva per tutelare il territorio e le persone che lo abitano. «I nostri dati possono aiutare nella gestione delle foreste da un punto di vista di prevenzione degli incendi. Ma anche per capire se un incendio può avere una determinata intensità. I dati di biomassa restituiscono di fatto quello che è il combustibile durante un incendio». E nel frattempo la salute delle foreste a livello mondiale non è in miglioramento.

foresta droni

«Si perdono sempre più foreste – interviene Baccini -. La cosa interessante che emerge dai nostri dati è che la causa della perdita di foresta e delle emissioni non deriva solo dalla deforestazione: c’entra il processo di degradazione. Aumenta la mortalità diffusa delle foreste dove ci sono meno alberi a causa di siccità e anomalie del clima».

Dopo il round gli obiettivi di Chloris Geospatial sono di espansione per quanto riguarda i clienti, con un’apertura anche in Italia con la ricerca di nuove posizioni. Dal punto di vista tecnologico c’è infine un fronte aperto: «Stiamo pensando di investire sulla produzione dati. Al momento sfruttiamo quelli pubblici di ESA e NASA, ma non sono sensori specificamente progettati per la misura del carbon. Ecco perché vorremmo sviluppare il nostro sensore satellitare. Dovremo capire quale partner se ne occuperà, se in Europa o negli Stati Uniti».