Tra i campi della Valnerina, c’è un luogo in cui la terra diventa anche strumento di inclusione, dove le persone con disturbo dello spettro autistico imparano a coltivare non solo ortaggi, ma anche relazioni, autonomia e futuro. “Open Farms” è il nome di questo progetto, nato in Umbria nel 2019, come raccontano Tania Brughini, presidente della cooperativa sociale agricola Terre Umbre, e Loredana Scriccia, vice presidente e responsabile del servizio Open Farms.
Un percorso verso il lavoro
Il progetto Open Farms ha preso il via grazie a un’iniziativa congiunta per rispondere a un bando finanziato dalla Regione per progetti sperimentali del terzo settore regionale. «La Cooperativa Sociale Agricola Terre Umbre, in collaborazione con ANGSA e Lega Ambiente Umbria, ha presentato una proposta mirata all’abilitazione sociale e lavorativa di persone con disturbo dello spettro autistico. L’obiettivo era creare un modello di servizio che sfruttasse le attività di agricoltura sociale per coinvolgere attivamente gli utenti, le loro famiglie, gli operatori e la comunità», ricordano Tania Brughini e Loredana Scriccia.
Originariamente il programma sarebbe dovuto durare due anni. Tuttavia, il progetto si è esteso per un anno aggiuntivo a causa della pandemia di COVID-19. «Questo prolungamento ha permesso ai dieci giovani individuati dal servizio di Neuropsichiatria infantile della ASL Umbria di Terni di raggiungere gli obiettivi prefissati». Successivamente, per rispondere al bisogno di continuità, il gruppo ha continuato a frequentare la struttura semiresidenziale Open Farms, che ha lo stesso nome del progetto ed è collocata nelle campagne umbre, in Valnerina. «Attualmente la struttura è frequentata da 14 ragazzi con disturbo dello spettro autistico di età compresa dai 18 ai 26 anni, dal lunedì al venerdì. I progetti terapeutico riabilitativi personalizzati dei ragazzi sono condivisi tra l’equipe della struttura, i servizi specialistici del territorio, il ragazzo e le famiglie».

Gli obiettivi di Open Farms
«L’obiettivo principale del nostro lavoro – spiegano le due responsabili – è promuovere l’autonomia e il benessere, orientando ogni attività verso la crescita personale e l’inclusione sociale. L’approccio che adottiamo è centrato sulla persona. Partiamo dall’analisi delle risorse e delle inclinazioni di ciascuno per definire un percorso su misura, che rispetti i tempi e le abilità individuali. L’obiettivo non è solo l’apprendimento di nuove competenze, ma anche il rafforzamento dell’autostima e della motivazione. Il nostro intento è creare un ambiente che sia al contempo stimolante e sicuro, dove ogni piccolo successo è riconosciuto e valorizzato».
Le attività
Cosa si fa nello specifico? Presto detto: «Mettiamo in campo attività che sono il fondamento del nostro progetto formativo, pensate per costruire le competenze essenziali necessarie per una vita indipendente». Si parte dalle autonomie personali e domestiche, come la cura di sé e la gestione della casa, «le basi per sentirsi indipendenti e capaci». Si lavora per migliorare la capacità di interagire con gli altri, di gestire le relazioni e di esprimere le proprie emozioni; si promuove la partecipazione a eventi come cinema, teatro o sagre, «che permettono di vivere appieno la vita sociale e culturale. Le gite e le escursioni, inoltre, sono ottime occasioni per socializzare e per rafforzare i legami del gruppo».
L’importanza del lavoro per l’inclusione
Non manca l’inserimento lavorativo: «Promuoviamo attività di agricoltura sociale volte a un percorso di orientamento e inserimento lavorativo. Che si tratti di lavorare nel laboratorio di trasformazione, nella serra, in campo o nella vicina fattoria, si tratta di esperienze che non solo offrono competenze professionali, ma rinforzano anche il senso di appartenenza e di utilità sociale. L’obiettivo è costruire un percorso che parta da solide basi interne per poi aprirsi, in modo graduale e guidato, verso una più ampia integrazione nella società».
L’esperienza finora ha dimostrato «notevoli benefici, che vanno oltre gli obiettivi individuali, creando un ambiente di crescita e inclusione». Per alcuni sono stati avviati percorsi come tirocini e inserimento lavorativo: «Federico, per esempio, è impegnato nelle preparazioni in cucina in un ristorante della zona, Andrea accudisce gli animali della nostra fattoria e un altro giovane si occupa delle consegne a domicilio dei nostri prodotti e del punto vendita. Queste diverse mansioni dimostrano come l’approccio personalizzato porti a risultati concreti e sostenibili».
Il fattore più importante è facilmente intuibile: «Il cambiamento più profondo e gratificante è stata la creazione di un gruppo solido. I partecipanti non si limitano a condividere le attività programmate, ma hanno sviluppato legami significativi che li portano a trascorrere del tempo insieme anche fuori dal contesto delle attività previste. Questo li aiuta a sviluppare le relazioni con gli altri e a sentirsi parte di un gruppo, aspetti importanti per vivere bene e integrarsi nella società».

Inclusione lavorativa, che fare?
Che cosa si potrebbe cambiare a livello legislativo per potenziare l’inclusione lavorativa? Tania Brughini e Loredana Scriccia non hanno dubbi: «Sicuramente una semplificazione delle procedure burocratiche per l’assunzione di persone con disabilità, rendendo più facile l’accesso alle agevolazioni e ai contributi, introducendo anche nuovi incentivi fiscali per le aziende che investono in formazione e percorsi di affiancamento. Questi incentivi non si limiterebbero al momento dell’assunzione, ma sosterrebbero l’intera integrazione del lavoratore».
Inoltre, «è fondamentale riconoscere e sostenere in modo più mirato attività volte a potenziare l’inclusione lavorativa, che costituiscono un ponte tra i percorsi di abilitazione e l’inserimento lavorativo. A tal fine, si potrebbero attivare bandi dedicati o prevedere agevolazioni specifiche per cooperative e imprese sociali, valorizzando il loro ruolo essenziale nel creare ambienti di lavoro protetti ma anche produttivi».
Le prospettive per il futuro
Sul futuro le idee sono chiare: «Le prospettive per il futuro sono orientate verso la diffusione di un modello sostenibile e replicabile che unisca l’impresa agricola e quella sociale. L’obiettivo è creare una nuova economia solidale, capace di generare un vantaggio reciproco sia per l’azienda che per la comunità».
L’obiettivo? «Vogliamo costruire una rete che unisca diverse realtà, soprattutto nel mondo agricolo, per meglio collaborare con le aziende presenti nel territorio. Il risultato atteso è quello di educare alla diversità in senso ampio e profondo. L’obiettivo è integrare le persone con disabilità nella vita della comunità, facendole diventare parte attiva della costruzione di un beneficio comune, superando la visione di una diversità che vive ai margini e dipende solo da risorse pubbliche».