«Sono nato a Teramo, ma vivo a Pescara. Ho iniziato a pensare a Plastic Free quando nel 2019 mi sono trovato davanti a una mareggiata in spiaggia. Tornando a casa, gli algoritmi dei social sembravano allineati esattamente a quello che avevo visto, proponendomi contenuti perfettamente in linea con quello che avevo catturato in spiaggia, ovvero una immensa quantità di plastica. Quel giorno è iniziata questa avventura». Inizia così il racconto di Luca De Gaetano, presidente di Plastic Free, onlus con sede a Teramo e Pescara che si batte per contrastare l’inquinamento da plastica sensibilizzando più persone possibili. Questa realtà ha catturato l’attenzione di associazioni, cittadini, organizzazioni, enti istituzionali e anche università. Tra queste, l’Università San Raffaele di Roma. E ha preso forma un nuovo progetto diretto da Ennio Tasciotti, responsabile del laboratorio di Human Longevity dell’IRCCS San Raffaele: studiare l’impatto che le nanoplastiche hanno sul cervello. Si tratta del primo progetto scientifico avviato dalla onlus impegnata nel contrasto all’inquinamento da plastica. La nuova tappa del nostro consueto appuntamento del giovedì con Viaggio in Italia arriva nei laboratori del centro di ricerca dell’IRCCS San Raffaele per scoprire questo mondo inesplorato.

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Plastic Free, storia di una piccola realtà diventata grande
«All’inizio ho pensato di creare una pagina social che parlasse del problema ma visto l’alto interesse del pubblico ho deciso di fondare un’associazione di volontariato. In poco tempo, il numero di volontari e referenti è cresciuto in maniera esponenziale formandosi così un grande network di contatti composto da chi all’ambiente ci tiene davvero», spiega il presidente De Gaetano, che precisa: «In Italia siamo in 1100 referenti e sono nati tanti progetti con le scuole, i comuni, le università e le pubbliche amministrazioni, finché, un anno fa, Ennio Tasciotti ci ha proposto la messa a terra della ricerca puntando, così, allo studio dell’impatto della plastica sul cervello che si accumula superando la barriera encefalica». Insomma, da un network fatto principalmente da enti istituzionali, associazioni e persone comuni, Plastic Free adesso lavora a stretto contatto con la ricerca. «Ora siamo in una fase di raccolta fondi e vogliamo studiare in che modo la plastica va a modificare la comunicazione dei neuroni». Con 15 persone, più di 1.100 referenti in tutta Italia, e 250mila volontari, l’obiettivo di Plastic Free è quello di portare questo modello in tutto il mondo. «Vogliamo arrivare in tutta l’Unione Europea e aprire un paio di sedi in Spagna e a Bruxelles per dialogare in modo diretto con le istituzioni fino, poi, a raggiungere l’Asia e Africa dove ancora non ci sono attività strutturali. Qualsiasi realtà voglia collaborare con noi lo può fare. A Milano, Roma, Palermo e Napoli ci appoggiamo ai nostri referenti che ci garantiscono una certa capillarità. Attualmente abbiamo all’attivo protocolli d’intesa con più di 500 comuni e collaboriamo con 11 università italiane».

La ricerca scientifica
L’urgenza di uno studio dedicato all’impatto nelle nanoplastiche nel cervello è emersa dopo la pubblicazione di un recente articolo su Nature, che ha rilevato la presenza di nanoplastiche nel tessuto cerebrale umano. I risultati mostrano un’accumulazione crescente negli ultimi otto anni, con frammenti microscopici, in particolare di polietilene, rinvenuti in proporzioni significative anche nei soggetti affetti da demenza. In alcuni casi, il peso della plastica individuata nel cervello era pari allo 0,5% della massa del tessuto analizzato: l’equivalente, a livello macroscopico, di un cucchiaino. «Ho accettato l’incarico da direttore del comitato scientifico di Plastic Free con l’intenzione di rinnovare la composizione degli esperti e la varietà delle competenze scientifiche rappresentate – spiega Ennio Tasciotti – Al fine di accrescere le attività di sensibilizzazione della Fondazione oltre la pulizia di spiagge, fiumi e parchi, e di aggiungere nuovi obiettivi di ricerca mirati a dimostrare come la contaminazione degli ecosistemi porti a compromettere anche la salute umana».

La plastica scaricata nell’ambiente diventa un nemico invisibile che entra nel nostro corpo e causa diversi danni, come spiega il direttore: «Negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscerli e ho proposto a Luca De Gaetano di ridisegnare il board scientifico con nuove figure di scienziati. Oggi nel team ci sono quindi esperti di materiali così come di tossicologia dei materiali sintetici».

Da professore all’Università San Raffaele e direttore dello Human Longevity Program dell’IRCCS San Raffaele di Roma, tra le mie preoccupazioni di Ennio c’è il fatto che la plastica sia uno dei nuovi inquinanti che impattano la longevità umana. «Una volta entrata nel nostro corpo rimane stanziale in alcuni tessuti perchè non riesce ad essere rimossa efficientemente dall’organismo. Nel tempo, la sua presenza è in grado di alterare i processi molecolari di cellule e tessuti e di compromettere il funzionamento di alcune funzioni corporee – spiega il direttore- La ricerca che portiamo avanti è legata alla neurodegenerazione e, in particolare, all’impatto di nano e micro plastiche sul sistema nervoso centrale. Il timore è che la plastica possa essere uno dei fattori scatenanti di alcune malattie neurodegenerative. Se, infatti, il cervello è più l’organo più protetto che abbiamo, difeso da barriere biologiche molto salde, abbiamo scoperto che la nano e micro plastica riesce a bucare anche queste barriere e a penetrare nel tessuto cerebrale. E in questa sede si accumula inesorabilmente riducendo nel tempo la capacità dei neuroni di creare nuove sinapsi». Una conclusione che ha richiesto un lungo lavoro da parte del team guidato da Tasciotti: «Abbiamo applicato tutte le tecniche che utilizziamo nello studio delle malattie neurodegenerative, dalla neuroinfiammazione allo stress ossidativo fino ai marker di attività mitocondriale legata al danno ischemico».

Nei laboratori dell’IRCCS San Raffaele
Nei laboratori del centro di ricerca dell’IRCCS San Raffaele c’è tutto quello che serve per seguire il viaggio di queste particelle nel corpo con tecnologie e microscopia avanzate. «Parliamo di uno spazio di centinaia di mq con laboratori di biologia molecolare e genomica, in cui studiamo il cambiamento dell’espressione genica, di citoflorimetria, dove indaghiamo il cambiamento che le plastiche inducono sul sistema immunitario, del laboratorio di imaging cellulare, dove con tecnologie altamente innovative come il microscopio confocale, quello elettronico a scansione e trasmissione, seguiamo quali cambi vengono indotti nella struttura cellulare. Infine, nei laboratori di neurofisiologia misuriamo, con l’ausilio di elettrodi piccolissimi, l’attività elettrica dei neuroni per capire se la presenza di nano e microplastiche cambia l’impulso alla base della trasmissione nervosa. Si tratta di un approccio multidisciplinare con competenze diverse che passano dalla chimica alla biologia fino all’elettrofisiologia, in un team che conta una decina di persone».

Un lavoro che richiede risorse considerevoli. «Basti pensare che un microscopio elettronico supera il milione di euro, una lama di precisione per tagliare le cellule ne costa 15 mila, un singolo anticorpo mille e un kit di analisi delle citochine circa seimila. Investimenti importanti, ma indispensabili per comprendere l’impatto di questi inquinanti invisibili, soprattutto sui soggetti più vulnerabili: bambini e anziani». E che anche per la portata innovativa che potrebbe avere meriterebbe di essere sostenuto, come conclude il professore: «I risultati delle nostre ricerche potranno poi aprire nuove strade, non solo per identificare i danni causati dalle plastiche ma anche per sviluppare strategie e possibili terapie capaci di contrastarne gli effetti. L’obiettivo finale è continuare ad approfondire come la presenza di microplastiche nei tessuti umani si correli con specifici problemi di salute, così da poter intervenire in modo più mirato ed efficace».

