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«Installare un pannello solare sul proprio tetto e poi – con il surplus di energia pulita prodotto – illuminare il parco sotto casa». Alessandro Bernardini dell’associazione ambientalista ASud spiega così a StartupItalia il concetto alla base delle comunità energetiche rinnovabili (CER), soggetti giuridici che autoproducono e condividono energia pulita, oggetto proprio nei giorni scorsi di un decreto, pubblicato dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase), che ne stimola la nascita e lo sviluppo come modello innovativo di utilizzo di fonti rinnovabili.

A Roma ne è appena nata una nel quinto municipio, nella zona di TorPignattara. Si chiama CERTosa, ed «è la terza della città per numero di iscritti» prosegue Bernardini, che con ASud ha lanciato il progetto insieme al comitato di quartiere Certosa. Ne fanno parte 42 famiglie, il plesso Carlo Pisacane dell’Istituto Salacone, un’attività commerciale, lo storico panificio dei Fratelli Marrocchini e il Centro documentazione conflitti ambientali. Una volta messo a regime, il progetto si tradurrà nell’installazione di impianti fotovoltaici vicini tra loro  in grado di sfruttare l’energia prodotta sia per i consumi privati che per quelli della comunità.

I primi passi di CERTosa

Come nasce una comunità energetica? «Ci vogliono in primo luogo fondi – chiarisce Bernardini – per cui si parte innanzi tutto con uno studio di fattibilità». Il primo passaggio burocratico è la creazione di un soggetto giuridico in grado di portare avanti il progetto. Poi si va a studiare il territorio per capire come posizionare gli impianti. Ed è in questa fase che si trova ora CERTosa, per cui ASud sta distribuendo questionari tra gli abitanti della zona “per identificare le specifiche vulnerabilità”, come è scritto sul sito dell’associazione. Dopodiché si procede con la raccolta dei fondi, districandosi tra le varie normative: oltre al decreto Milleproroghe 62/2019 che ha introdotto le comunità energetiche rinnovabili, ci sono le delibere Arera sulle tariffe. E poi gli incentivi statali per il fotovoltaico, e le detrazioni per i lavori. 

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Alessandro Bernardini

I fondi europei

Dietro c’è anche l’Unione europea con l’acceleratore Impetus, programma approvato nel 2020 dalla Commissione Ue con lo scopo di rendere l’Europa ‘climate neutral’, ovvero capace entro il 2050 di produrre energia senza emissioni di gas. Anche il Pnrr ci mette del suo perché i fondi stanziati per le comunità energetiche sono 2,2 miliardi con l’obiettivo – come dichiarato dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin – di crearne 15mila in Italia entro il 2026. Traguardo lontano, considerando come al momento quelle esistenti siano appena ventuno. 

Non solo risparmio energetico

La povertà energetica in Italia corre e gli ultimi dati pubblicati dall’Oipe parlano di 2,1 milioni di famiglie in povertà energetica, ovvero l’11% della popolazione. «Ma non è il risparmio energetico l’obiettivo centrale di una comunità energetica», specifica Bernardini. Un taglio sui costi c’è, «anche se non nel medio ma nel lungo termine». Il vulnus del progetto è però «mettersi insieme per produrre energia rinnovabile». Quindi la partecipazione della comunità a un progetto solidale. Non ci sono finalità di lucro, bensì l’idea di «rispondere alle esigenze proprie del territorio in questione e aiutare a ridurre le spese energetiche dei consumatori più bisognosi», afferma Laura Greco, presidente di ASud. 

Risorse per i quartieri periferici

Tra i benefici principali di una comunità energetica c’è spesso il coinvolgimento di quartieri periferici, talvolta trascurati dalle istituzioni. «Siamo felici che si sia avviato un progetto così ambizioso proprio nel nostro piccolo quartiere», commenta Claudio Lopetuso presidente del comitato Certosa, sottolineando come si tratti di iniziative con ulteriori risvolti: «È una sfida rivoluzionaria, che può aprire opportunità importanti sia per aiutare le famiglie del nostro quartiere in povertà energetica, sia per avviare processi di rigenerazione urbana del nostro territorio».