Sibusiso Bheka è forse uno dei più celebri fotografi sudafricani del momento. Nato nel 1997 a Johannesburg, è definito «il fotografo della notte». I due progetti fotografici, “At Night, They Walk with Me” e “Stop Nonsense”, gli hanno dato notorietà internazionale. Lo incontriamo a Lisbona, dove è appena arrivato per una residenza artistica di tre mesi.
La storia di Sibusiso Bheka
«Sono nato in una delle prime township costruite durante l’apartheid, a Thokoza, periferia di Johannesburg, in un contesto sociale difficile», racconta Sibusiso. Cresciuto con la nonna, il suo futuro poteva essere uguale a quello di tanti suoi coetanei, fatto di disoccupazione e criminalità. «La fotografia ha dato un senso alla mia vita».

Sibusiso Bheka aveva 14 anni quando venne a conoscenza del progetto Of Soul and Joy, un collettivo di fotografi che utilizza la fotografia come strumento di empowerment per i giovani. «Scelsero la mia scuola superiore perché era l’unica della zona con un corso di arte». Fu amore a prima vista. I fotografi di Of Soul and Joy andarono nella scuola di Sibusiso, portarono le macchine fotografiche, organizzarono un corso e diedero la libertà ai ragazzi di sviluppare dei progetti fotografici.
Il primo progetto fotografico di Sibusiso Bheka fu “At Night, They Walk with Me”, che lo ha reso celebre e gli ha permesso di guadagnare i primi soldi per comprarsi la sua macchina fotografica e un cavalletto. Con questo progetto, Sibusiso scelse di documentare i bambini che, di notte nella township, escono di nascosto per giocare. «Le nonne, anche la mia, ci dicevano sempre di non uscire la notte perché c’erano i fantasmi. Quindi ho usato la metafora dei fantasmi per esplorare come crescono i bambini di Thokoza».
Il racconto di casa
Per Sibusiso Bheka, la fotografia è sempre stata un modo per leggere il presente attraverso il proprio vissuto e la notte ha sempre affascinato il fotografo sudafricano perché nelle township la notte è pericolosa e misteriosa. Il secondo progetto, “Stop Nonsense” (modo di dire sudafricano, n.d.r.), racconta la trasformazione della township di Thokoza attraverso i muri. «Quando negli anni ’50 è stata costruita la township, le case non avevano muri di divisione, era difficile stabilire dove finiva il mio spazio e iniziava il tuo. Mia nonna è stata la prima della nostra strada a costruire un muro e così ho voluto raccontare Thokoza di notte attraverso quei muri».

Le luci sono un elemento caratterizzante, che conferiscono al progetto un tocco poetico. «In realtà la luce gialla delle township ha un significato che risale ai tempi dell’apartheid. Le zone dove vivevano le persone di colore avevano un’illuminazione diversa rispetto a quelle dove vivevano i bianchi, così che i confini erano ben marcati anche visivamente».
Sibusiso ha voluto trasformare la percezione notturna di Thokoza, fatta di violenza, criminalità e degrado, in scatti poetici. «Quando Stop Nonsense è stato pubblicato sulle riviste internazionali, sono andato a far vedere la pubblicazione ai proprietari delle case che avevo fotografato e nessuno riconosceva la propria casa, dicevano che avevo ritoccato la foto perché era troppo bella, loro non vedevano la propria casa in quel modo». Ed era esattamente questo l’obiettivo di Sibusiso, usare la fotografia per cambiare la percezione del proprio ambiente.

Stop Nonsense ha avuto un processo lungo, ben cinque anni di lavoro. Il fotografo sudafricano usciva di notte per Thokoza, che è pericoloso, facendosi accompagnare all’inizio da tre suoi amici perché, mentre scattava la foto era talmente assorto che non aveva percezione di quello che gli accadeva attorno. «Con la macchina fotografica che avevo all’epoca, per fare foto di notte avevo bisogno del cavalletto e di almeno trenta minuti per ogni foto, un lavoro molto lungo.»
Dopo il successo di “Stop Nonsense”, Sibusiso è stato invitato a partecipare a varie residenze artistiche, prima ad Amsterdam poi a Parigi. «Adoro la città di Parigi e mi sono divertito a sviluppare un concetto legato all’immagine della città parigina». Bheka, che non era mai stato nella capitale francese, aveva sempre percepito Parigi come un set cinematografico, in fondo è proprio lì che è nato il cinema. La sua idea era quella di rappresentare la città come un set, «e sono stato molto fortunato essendo arrivato prima che iniziassero le Olimpiadi, la città era un vero set a cielo aperto».
La fotografia racconta il mondo
Il lavoro di Sibusiso Bheka è stato esposto in Sudafrica e all’estero. Nel 2013 ha fatto parte della mostra collettiva “In Thokoza”, organizzata dal fondo culturale Rubis Mécénat presso la Ithuba Arts Gallery di Johannesburg. Nel 2014 ha partecipato alla mostra collettiva “Visions of Africa”, all’interno dell’Addis Foto Fest in Etiopia, e nel 2015 alla mostra “Free from My Happiness”, organizzata da Rubis Mécénat e curata da Tjorven Bruyneel e Bieke Depoorter nell’ambito del Ghent International Photo Festival, in Belgio. Nel 2023 ha esposto il suo lavoro all’Akaa African Art Fair di Parigi.

Sibusiso, nonostante il successo, continua a collaborare con il progetto “Of Soul and Joy” che lo ha aiutato a trovare la propria strada e, per loro, segue diversi progetti fotografici nelle aree rurali del Sudafrica ma anche in Mali. «Nelle township i traumi si tramandano di generazione in generazione. Tutto sta in come viene elaborato il trauma e, per me, la fotografia è stata una forma di terapia importante, mi ha mostrato una strada e vorrei continuare a dare questa opportunità ad altri ragazzi. Per questo continuo il mio impegno con Of Soul and Joy».
Perché scattare di notte?
Adesso Sibusiso si trova in Portogallo. «Ho fatto ben due volte la domanda per venire qui, alla terza ce l’ho fatta». Nei prossimi mesi svilupperà un progetto legato alla città di Lisbona e a come il famoso terremoto del 1755, che ha danneggiato la città, porta ancora i segni. «Ho deciso di esplorare il concetto di ‘movimento’ nell’architettura».
Sibusiso continua a fotografare di notte. Con le macchine fotografiche di oggi, il suo lavoro notturno è molto più facile rispetto anche a solo dieci anni fa, ma nonostante sia un fotografo giovane, apprezza molto la fotografia analogica. «Quando sono in Sudafrica faccio foto analogiche, ma vuoi sapere qual è il vero motivo? Niente di poetico, se qualcuno provasse a derubarmi, le macchine analogiche costano meno di quelle digitali».
Una buona fotografia basta per fare un fotografo? «Non mi focalizzo sulla definizione di fotografo», dice Sibusiso. «Sono un osservatore ma faccio fatica a comunicare a parole quello che vedo. La fotografia mi aiuta, è una sorta di terapia per me, quando riguardo le foto mi chiedo, perché ho fatto questo scatto?» Nonostante oggi Sibusiso viva gran parte del tempo all’estero, è sempre molto legato al suo Paese. «Non ho intenzione di trasferirmi in Europa, tornerò a vivere a Thokoza dove sono nato, mi sento legato a quel posto».