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Nel cuore di Bologna c’è un locale che sfida stereotipi e pregiudizi, favorendo l’inclusione tra persone udenti e non udenti: è il “Bar Senza Nome”, nato nel 2012 in via Belvedere, proprio dietro lo storico Mercato delle Erbe della città: zona di scambio, relazioni, passaggio, produzione, comunicazione.

Come nasce l’idea del “Bar Senza Nome”

Il Bar Senza Nome nasce da un’idea imprenditoriale di Alfonso Marrazzo e Sara Longhi, lui laureato in Arte presso il DAMS dell’Università di Bologna, lei ex impiegata amministrativa presso un’azienda del territorio, con la decisione di unire le competenze e le esperienze personali per immergersi in un progetto nuovo.

«Volevamo cambiare la storia delle persone sorde – spiega Sara Longhi a Startupitalia.eu – Dopo tutto il tempo trascorso a osservare gli altri, volevamo che si invertissero i ruoli per diventare noi i protagonisti, capaci di affrontare quella realtà che per tantissimo tempo non ci ha mai dato la possibilità di emergere e di interagire con gli altri. Volevamo liberarci di quel peso portato sulle spalle, che chiamano ‘incapacità’,  e che ha rafforzato negli udenti la missione di ‘aiuto’, ovvero quella tendenza ad aiutare le persone con sordità in tutto e per tutto». 

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Non solo bar, ma progetto culturale 

La missione del Bar Senza Nome è volta ad abbattere barriere e pregiudizi, come sottolinea Sara: «A prima vista si pensa solo a un bar, ma il vero obiettivo è la creazione di un progetto culturale e sociale allo scopo di far interagire mondi e linguaggi differenti, i suoni e le immagini, far avvicinare due mondi fino a poco prima lontani». 

Il Bar Senza Nome non è dunque solo un semplice locale, ma una vera e propria officina culturale, ricca di eventi inclusivi. Spiega Sara: «Si tratta di un progetto doppiamente aperto: da una parte un luogo gestito per la prima volta da due persone sorde, che quindi si aprono al nuovo; dall’altra uno spazio da condividere con la comunità per costruire progettualità, organizzare laboratori, concerti, mostre, presentazioni e molti altri eventi».

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Biglietti in LIS per ordinare

Come funziona l’ordinazione al bancone del Bar Senza Nome? «Abbiamo pensato di mettere dei bigliettini con il nome e il disegno del segno in LIS delle varie bevande per facilitare il cliente nell’ordinazione, stimolandolo a imparare il linguaggio per poi arrivare a ordinare direttamente in LIS». Un vero e proprio addestramento, che permette di comprendersi meglio reciprocamente, al di là della lingua.

Nessuna barriera linguistica

Tuttavia, ci sono anche altre modalità per comprendersi. «Sul bancone abbiamo messo l’alfabeto LIS per chi volesse provare a farci lo spelling delle parole in dattilologia (alfabeto manuale, ndr), oppure proviamo a parlare e a capirci lo stesso o a scrivere su foglietti di carta. Tutto questo è possibile grazie anche alla forte gestualità del popolo italiano che riesce sicuramente a farsi comprendere e a ordinare facilmente». La certezza è che nel Bar senza Nome sono abbattute tutte le barriere linguistiche e di comunicazione.

L’incontro tra linguaggi differenti diventa, dunque, spontaneo e divertente. «La cosa bella è vedere la disponibilità dei clienti a mettersi in gioco, senza grandi difficoltà:  anzi spesso li vediamo divertirsi e molti di loro hanno imparato a segnare».

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LIS e LIST all’università

La LIS oggi si sta diffondendo, soprattutto nelle università, che iniziano a erogare formazioni specifiche. Solo per citare qualche esempio, il corso di laurea triennale in Interpretariato e traduzione in Lingua dei segni italiana (LIS) e Lingua dei segni italiana tattile (LIST) all’Università degli Studi di Milano Statale; il corso di laurea triennale in Interpretariato e traduzione in lingua dei segni Italiana (LIS) e lingua dei segni Italiana tattile (LIST) all’Università Bicocca di Milano; il corso di Comunicazione e Interpretariato in Lingua dei segni italiana (LIS e LIST) alla Sapienza di Roma e il corso di laurea magistrale in Scienze pedagogiche per la comunicazione inclusiva mediata dalla LIS (interateneo) alla Ca’ Foscari di Venezia.

La LIS allora è «inclusiva» e lo è per tutti e tutte: «Serve per stare in una maggioranza di udenti, dove tutto è pensato per loro: in questo caso la traduzione permette di stare al passo della comunicazione ed esprimere quello che penso nella mia lingua madre», anche se non tutti «gli interpreti sono ancora qualificati e competenti». Ma la LIS è inclusiva anche «per comunicare con chi la usa direttamente, poiché siamo messi alla pari nel canale visivo in cui si sviluppa la lingua».

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LIS come vera lingua

Bisogna abbattere anche lo stereotipo per il quale la LIS non sarebbe una vera lingua: “Invece la LIS è una vera lingua, è scorretto definirla un insieme di immagini, gesti e mimica». Infatti, nel 2021 il Parlamento ha approvato l’articolo 34-ter del Decreto Sostegni con il quale «la Repubblica riconosce, promuove e tutela la Lingua dei Segni Italiana (LIS) e la Lingua dei Segni Italiana Tattile (LIST)», riconoscendola una lingua a tutti gli effetti.

La LIS crea dunque vari benefici. «A livello sociale usarla porta a comunicare in modo completo, libero e crea autonomia vera per le persone sorde». 

Un monito

Sara pone infine un monito: «Attenzione, però: questo non vuol dire che non possiamo imparare l’italiano; anzi ci deve essere insegnato con dignità e a un livello
alto per essere autonomi nella lettura e scrittura. Altrimenti rischiamo di diventare cittadini di serie B».