I docenti 2.0 Mimmo Aprile e Paola Lisimberti commentano i punti più favorevoli della riforma scolastica che sta cambiando tutto
Se è vero che, con la riforma della scuola, un docente avrà a disposizione 500 euro per spese culturali, certamente li spenderà tutti. A qualcuno verrà ancor più voglia del solito di acquistare un libro; qualcun altro ne approfitterà per iscriversi ad un corso di perfezionamento (e, se tra i 100.000 neo-immessi in ruolo, non gli sembrerà vero di farlo per soddisfare un bisogno vero di aggiornamento e non per inseguire i colleghi nel punteggio delle “Graduatorie”); oppure li spenderà in dotazione tecnologica in modo da diventare “autonomo” rispetto alla dotazione scolastica.
E, dopo aver fatto spese, ci metteremo al lavoro. Perché “flessibilità”, “autonomia”, “diversificazione”, “eccellenza”, “efficacia” del servizio scolastico non devono restare solo parole. Tocca a noi.
Quello che c’è scritto nella Buona Scuola che dovrebbe diventare una Legge dello Stato ci piace ma, perché funzioni, occorre metterlo in pratica in modo mirato. Efficacia ed efficienza, insomma. Questo occorre.
Partiamo dal tempo a scuola
La flessibilità oraria, le aperture pomeridiane nei periodi di interruzione delle attività didattiche dovranno essere declinate con l’obiettivo di conseguire dei risultati veri, concreti: riduzione del numero alunni/classe; percorsi di eccellenza; apertura al territorio.
Senza eccessive alchimie, tutti riconoscono che l’aumento del tempo scuola per potenziare le competenze è importante per i nostri ragazzi, che ormai non vivono solo di scuola, non apprendono solo dai libri, non praticano solo la vita reale ma anche quella virtuale. Ecco perché è importante l’istituzione del curriculum dello studente, perché ogni studente è diverso, porta con sé le sue esperienze di volontario, di sportivo, di musicista e di artista; non legge soltanto, ma visualizza, seleziona, copia, incolla, condivide, in poche parole “sceglie” e lo fa più velocemente di quanto potessimo fare noi alla stessa età. Per questo bisogna lavorare su una nuova alfabetizzazione, educare all’uso consapevole e autonomo delle tecnologie, insegnare come si scrive un post, una mail, un tweet e come ci si comporta in un social network.
L’autonomia
L’organico dell’autonomia è l’altro elemento cruciale. Da poco meno che un ventennio, il reclutamento nella scuola è stato uno dei punti di maggiore criticità del sistema scolastico. Si è derogato al concorso, generando un meccanismo diabolico “a punti” come quello delle Graduatorie (prima “permanenti”, poi “ad esaurimento”) che ha prodotto una elefantiasi del precariato, con relativo innalzamento del tempo medio di permanenza nello status di precario e della relativa età media del corso docente. Tutto ciò a causa di un sistema di “alimentazione” delle graduatorie del tutto illogico ed omogeneo (concorsi, concorsi “riservati”, SSIS, corsi abilitanti, TFA, PAS…) ed un sistema di gestione del reclutamento “a punti” che ha preteso di uniformare ciò che non lo è. Perché, ad esempio, insegnare Informatica in un Liceo Scientifico è ben diverso che insegnare Sistemi e Reti in un V anno di un ITIS; insegnare italiano e latino al Liceo Classico è ben diverso che confrontarsi con studenti del primo anno di un istituto professionale.
L’organico dell’autonomia, negli intendimenti, potrebbe consentire alle scuole di avere delle risorse umane aggiuntive e di poter intervenire (anche se, ancora, non è ben chiara la modalità con cui ciò dovrebbe avvenire) nella scelta della figura professionale di queste risorse.
Per andare nel concreto, l’anno scorso, al Liceo “Ludovico Pepe” di Ostuni è stato sviluppato un campus estivo sull’Innovazione (Innovation Summer Camp). Quest’anno, per tutta una serie di motivazioni, non è stato riproposto. E gli studenti, le famiglie ci chiedono il perché. Qualcuno si offre di finanziarlo. Con l’organico dell’autonomia si potrebbero avere gli strumenti per riproporlo.
Con l’organico dell’autonomia, inoltre, la funzione docente potrebbe essere valorizzata.
Se è vero che si creerà una anagrafe nazionale e che i docenti potranno proporre il proprio CV e le proprie competenze, potranno essere finalmente valorizzate quelle expertise che nella scuola spesso restano ai margini (counseling, progettazione formativa, competenze digitali).
Il middle management della scuola
Sembra fantascuola ma potrebbe accadere di sentirsi dire da un Dirigente Scolastico qualunque: «professore, ho letto il suo CV e, visto quello che fa, le offro uno stipendio maggiorato e la possibilità di fare 9 ore in aula e le altre in modalità scuola-lavoro o technology evangelist». La riforma lo consentirebbe. Si creerebbe quel “middle management” o, se non vogliamo a tutti i costi essere anglofoni, quella diversificazione delle carriere e dei ruoli la cui assenza ha contribuito a rendere la scuola italiana un luogo statico, poiché la motivazione nasce dalla valorizzazione delle differenze. E questo vale per gli studenti quanto per i docenti.
Certo, ogni cambiamento è traumatico, ma un respiro triennale per il piano dell’offerta formativa (altro punto di cruciale interesse) è certamente positivo, se questo significa garantire agli studenti la continuità didattica di un percorso formativo.
Da settembre 2014 sono passati nove mesi: è auspicabile, ora che la “Buona Scuola” si avvia a vedere la luce, che si mettano da parte le polemiche e gli atteggiamenti da ultras in modo da provare a contribuire, con l’impegno necessario, ad organizzare una buona proposta per una scuola innovativa e dinamica.
Ora tocca a noi, perché saremo noi a fare “la scuola che verrà”.