Armonia di sentimenti. Incontro di volontà e di obiettivi differenti, dove ogni parte rinuncia a qualcosa, in nome di un fine comune più alto.
Eccolo già lì, il significato della parola accordo.
In grammatica accordo è sinonimo di concordanza. In musica è giustapposizione di più suoni, per formare un suono unico, piacevole (le tre note do-mi-sol, l’accordo di do, il primo sorriso di ogni chitarrista). E poi in pittura, in fisica, in cucina, e in tante altre aree del sapere, c’è una differenza lampante tra qualcosa che è in accordo e qualcosa che è in disaccordo.
Se poi andiamo alle origini della parola, si accendono altri spunti.
Nel latino medievale accordare era conciliare, portare due parti contrastanti su un terreno comune. Poi, che la radice sia cor, cuore, che indica sia l’anima sia la mente, con quell’ibrido di sensibilità e d’intelligenza, oppure proprio chorda, il filo metallico che faceva suonare la lira, o la cetra, è una doppia ipotesi che rende l’interpretazione ancora più romantica.
Il fatto, poi, che la parola esprima tanto il sostantivo (sub-stantia, ciò che sta lì sotto) quanto la prima persona del verbo al presente indicativo è un fatto non comune, forse un suggerimento per i rissosi e i piantagrane. Pronunciamola dentro e fuori di noi, centinaia di volte al giorno, come un mantra: può essere che la smettiamo di attaccar briga a ogni piè sospinto. E se lo diciamo in tanti, insieme, diventa con-cordo, che suona ancora meglio.
Ma partiamo proprio dal suo contrario: il disaccordo. Perché l’accordo quasi sempre viene vissuto come una liberazione? Perché raggiungerlo costa un tale carico di tribolazione?
Che cosa ci fa saltare i nervi: piccolo manuale dell’antirissa
Quando le vendite vanno male, la colpa è dei commerciali che non sanno vendere, o del marketing che non ha fatto una buona pubblicità? Il sale nella pasta si mette ad acqua fredda o al bollore? C’è più caffeina nel caffè ristretto o in quello lungo? Meglio la destra o la sinistra? Vaccinarsi o non vaccinarsi?
In una conversazione, in pochi minuti è pronta la rissa. C’inalberiamo anche su cose d’importanza davvero limitata. Ne facciamo una questione di principio.
– Ehi, dove crede di andare? C’ero prima io
– Non faccia il furbo. Ora tocca a me. Lei se ne stia in coda come gli altri, ma tu guarda ’sto arrogante
– L’ho sentita, sa? Arrogante a me! Come si permette?!
– Ha ragione, lei non è solo arrogante, è proprio maleducato
E dire che a volte basterebbe poco per evitare la rissa. Perché la rissa, anche solo verbale, raramente è uno sfogo: più spesso è alimento per le nostre tensioni, veleno per il fegato, tempo sottratto al nostro vivere. È che quando siamo lì dentro ci pare impossibile resistere. O desistere. Sottrarci a quel meccanismo che ci porta a fare i bambini capricciosi, o i genitori autoritari, insomma tutto tranne gli adulti equilibrati.
– Allora, possiamo vederlo questo report?
– Ma con la valanga di cose urgenti che mi piovono addosso, come puoi pensare che il report sia pronto?
– Beh, te l’ho chiesto due giorni fa, mica ci vorrà uno scienziato…
– Occhio, non è giornata. Lasciami stare, se no finisce che ti dico quel che penso.
– Sentiamo, cos’è che pensi?
– Beh, certo tu non è che ti ammazzi di lavoro. Il report potresti fartelo da solo.
Una via efficace per capire come disinnescare la rissa è identificare i fattori scatenanti. A volte sono atteggiamenti, o comportamenti. L’aggressività, l’arroganza, il sarcasmo, la manipolazione, i giudizi buttati lì a caso, il cambiare idea per capriccio, il non ascoltare.
A volte invece son proprio soltanto parole, o gruppi di parole. Ci si potrebbe fare un’antologia. Eccone una possibile prima pagina:
- Peggio di così…
- Non si è mai fatto prima
- Abbiam sempre fatto così
- Stai sereno
- Non è vero
- Sì, però
- Non voglio fare polemica
- Non hai capito
- Te l’avevo detto
- Io non ho mai detto questo
- Non m’interrompere
- Adesso non ho tempo
- In 5 minuti lo fai
- Devi dirmi tu come fare
- Ma chi l’ha detto?
- Tu non puoi capire
- Ci pensi tu?
- Non hai ancora fatto…
- Ma è facile, cosa ci vuole…
- Non mi compete
Che cosa innesca quel meccanismo perverso che poi ci fa saltare i nervi? Se identifichiamo le parole-miccia, quelle che fan partire l’escalation, possiamo attivare il meccanismo di descalation.
Funziona sempre? Magari! Possiamo comunque prepararci una palestra con gli attrezzi utili a disinnescare i vortici pericolosi e innescare quelli virtuosi. Possiamo invertire le reazioni. Là dove si attizzava l’incendio, allenandoci, possiamo far scattare il vigile del fuoco che è in noi.
Vediamo alcune tecniche linguistiche per evitare di re-agire, e invece agire per l’accordo.
Un passo indietro, o di lato, come nelle arti marziali
C’è una scena del film Perfetti sconosciuti, diventato famoso per una pratica opposta all’obiettivo dell’accordo – il curiosare negli smartphone altrui – che invece fa proprio al caso nostro.
Lui – Una cosa importante l’ho imparata: saper disinnescare.
Lei – Cioè?
Lui – Non trasformare ogni discussione in una lotta di supremazia. Non credo sia debole chi è disposto a cedere. Anzi, lo trovo saggio. Le uniche coppie che vedo durare sono quelle in cui uno dei due, non importa chi, fa un passo indietro. Invece sta un passo avanti.
Saper disinnescare. Fare un passo indietro. Respirare e poi riaccordare. Proprio come le corde dello strumento: allentare un po’ la tensione, per evitare lo strappo. E poi tirarle di nuovo. O come in certe arti marziali: a volte su un attacco non serve scattare in avanti, e neanche cercare di bloccarlo: meglio fare un passo indietro o di lato, fare perno su quell’attacco, girargli intorno, lasciarlo sfogare altrove, e poi recuperarne il valore positivo.
In linguistica, il metodo che aiuta a disinnescare la re-azione, e quindi la rissa, è definito C.R.G., Calibrazione-Ricalco-Guida.
Calibrazione è ascolto rispettoso dell’altra persona. Attenzione a come si esprime, come si muove, come riflette, ai valori che ritiene importanti. Senza giudizio, senza etichette. Solo attenzione.
Ricalco è empatizzare con l’altra persona, vedere la situazione dalla sua prospettiva, pur magari senza condividerla. È il “rispecchiamento” con cui possiamo riprodurre un suo modo di comunicare. È un’attestazione di somiglianza e condivisione, che produce accoglienza, fiducia, e quindi accordo.
Il passaggio alla guida è poi la proposta – graduale, delicata, rispettosa – di un punto di vista differente, che può far breccia nelle resistenze, far sorgere un dubbio, indurre a trovare una terza via, favorevole per tutti.
Vediamo come funziona, per esempio, applicando il metodo a tre frasi della lista precedente:
18) Non hai ancora fatto > Già, non l’ho ancora fatto, se mi aiuti facciamo prima
19) Ma è facile, cosa ci vuole… > È ancora più facile se lo facciamo in due
20) Non mi compete > È vero, non ti compete: è anche vero che se lo fai impari una cosa nuova
Accordo e ristrutturazione
Risultato analogo si può ottenere con la ristrutturazione, ossia la capacità d’inserire una determinata situazione in un contesto diverso, in un’altra prospettiva, trasformandone il significato. È ciò che accade col bicchiere mezzo vuoto, che è anche mezzo pieno. È ciò che accade nelle figure qui sotto: se ci chiedono chi è la vittima e chi è il carnefice, con la figura a sinistra non abbiamo dubbi, ma se allarghiamo la cornice?
Ascoltata la frase dell’altra persona, se la sentiamo polemica, prima l’accogliamo, poi la inseriamo in una cornice diversa, così arricchendola di un altro significato.
- Mia figlia è così sciocca! S’innamora del primo che capita e poi soffre come una matta…
> Tua figlia è ancora così giovane… che bello innamorarsi! - La nuova collega è un’incapace!
> È nuova, appunto. Per essere alla prima esperienza ha già fatto miracoli.
Un giorno, in un convento, un novizio chiese al priore: «Padre, posso fumare mentre prego?» e fu redarguito come il peggiore dei peccatori. Un minuto dopo un altro novizio chiese allo stesso priore: «Padre, posso pregare mentre fumo?», e fu lodato per la sua devozione.
L’accordo è un baratto. Un atto di Diversity & Inclusion
Oh, comunque non si pensi che accordo sia solo generosità e buonismo. È anche utilità. Reciproca, ma sempre utilità. È una forma di scambio, di baratto. Quindi una pratica di Diversità e Inclusione.
I bambini imparano e crescono con gli accordi. Se fai il bravo ti meriti il premio (la mancia, l’uscita serale, la vacanza con gli amici, il super-smartphone). È la prima palestra di accordo.
Mi racconta un amico inglese che la sua maestra diceva sempre «Something for something». Aveva un modo delicato di dirlo: apriva una mano, «Something», e poi l’altra, «for something». Sembrava poco romantico, all’inizio. Ma poi funzionava. Visione razionale, economica.
È la reciprocità che sta alla base di ogni relazione. Certo, è bello dare, senza aspettarsi nulla in cambio. Ma ogni rapporto richiede reciprocità (dal latino: recus, indietro, e procus, avanti; ciò che va e poi torna), per diventare valore condiviso.
E se diventa valore condiviso, l’accordo si emancipa dall’interpretazione sminuente, quella del compromesso rassegnato, della vittoria dimezzata, poco onorevole, della quasi sconfitta, per assumere il significato positivo di un’esperienza nuova, generativa, che arricchisce tutti.
Sapessimo uscire, noi esseri umani, dal dualismo terroristico del tutto-o-niente, del vincere-o-morire, e fossimo attratti dalla ricerca positiva della terza via, del passo indietro o di lato, dell’accordo, quanti schiaffi in meno, e quante carezze in più (che poi, a pensarci, schiaffo e carezza, il gesto è lo stesso; cambia appunto la cornice).
Parole per l’accordo
Dopo tanti suggerimenti su cosa non fare, qualche cenno su cosa fare per l’accordo, cosa dire. Ecco alcune parole/formule che aiutano ad avvicinare.
Capisco. Non significa “condivido”. Significa rispetto. Costa poco, rende molto.
Grazie. Esprime gratitudine per il passo avanti, e invita a farne un altro, insieme, sulla strada dell’accordo.
Cosa intendi per…? Invita l’altro ad andare in profondità, a capire meglio, e a far capire.
Interessante. Senza sarcasmo, eh! Significa “non l’avevo mai vista da questa prospettiva”. (Ed è pure possibile che sia quella più utile a entrambi.)
Scusa. Parola difficile. Ma sempre opportuna. Forse abbiam fatto/detto qualcosa che ha urtato. Incarna quel passo indietro.
Insomma quando sentiamo che sta per partire una frasi apocalittica, o vittimistica, tipo Lo vivo sulla mia pelle, È una pugnalata alla spalle, Non ce la faremo mai, Mi tratti sempre male, resistiamo alla tentazione di alzare i toni, abbassiamoli (c’è chi dice di contare fino a dieci).
La direzione da seguire può venirci dal pensiero di Gandhi:
Mantieni positivi i tuoi pensieri: diventano parole.
Mantieni positive le tue parole: diventano comportamenti.
Mantieni positivi i tuoi comportamenti: diventano abitudini.
Mantieni positive le tue abitudini: diventano i tuoi valori.
Mantieni positivi i tuoi valori: diventano il tuo destino.