Un’esplorazione dei sensi nella totale assenza di luce, ma anche una riscoperta della fiducia, della collaborazione e dell’immaginazione. Tutto questo è ‘Dialogo nel buio’, un percorso sensoriale all’Istituto dei Ciechi di Milano, in via Vivaio 7.
Dialogo nel buio, esplorare l’ambiente attraverso i sensi
Dopo aver varcato la tenda di ingresso ci si ritrova immersi nel buio. Solo un bastone bianco e una guida cieca o ipovedente aiuta le persone, massimo otto per gruppo, a muoversi in un percorso che attraversa vari ambienti quotidiani per poi concludersi in un bar, dove è possibile – sempre nella totale assenza di luce – dialogare e scambiarsi esperienze con la guida e gli altri partecipanti. Esperienza spiazzante all’inizio quanto profonda appena il corpo e mente si sono lasciati andare agli altri sensi, senza la vista.
Maria Lucchet, una delle guide, trasferitasi a Milano per motivi di studio, accompagna adulti e ragazzi in un viaggio incredibile: «Tutti i sensi sono importanti: il messaggio che Dialogo nel buio vuole dare è che un uso consapevole degli altri sensi oltre la vista, se stimolati, possono dare infinite informazioni».
Dialogo nel buio non vuole essere una simulazione di cecità, ma «un viaggio esperienziale, un’esperienza di comprensione dell’uso degli altri sensi», in un percorso privo di ostacoli e imprevisti, protetto, per esplorare l’ambiente se stessi in un modo diverso. Spiega Maria: «I sensi sono innati nell’uomo, basta saperli ascoltare e capire la loro potenzialità». Ogni senso regala sensazioni differenti, anche se non si vedono i colori: percepire al tatto un’increspatura, il profumo di un fiore o di un aroma che apre ai ricordi e infinite sensazioni che riportano a momenti passati.
L’unicità come ricchezza
Dialogo nel buio non è solo un’esperienza sensoriale, ma è soprattutto un momento di condivisione, di cura e di conoscenza dell’altra persona, al di là dei sensi. Racconta Maria: «Non siamo angeli o supereroi. Mi considero una persona comune che utilizza strategie per compensare il mio limite visivo; non mi sento una persona diversa». Aggiunge Maria: «Per me è normale alzarmi al mattino, servirmi dello smartphone a sintesi vocale, uscire da casa con il mio cane guida o con il mio bastone; è normale basarmi su suoni e rumori per orientarmi». Solitamente per la strada le prime cose a essere notate sono il bastone bianco, l’occhiale scuro, il cane guida, ma spesso «ci si dimentica che prima della disabilità, prima di un ausilio c’è una persona, che potrebbe utilizzare tecnologie assistive, metodologie o tempistiche diverse per cucinare, lavorare, studiare ma la persona è uguale a voi».
E Dialogo nel buio fa comprendere proprio che prima di una disabilità c’è una persona, con i suoi pregi e difetti: «La disabilità non è un ostacolo o un limite ma una fonte di ricchezza». Una condivisione di esperienze che durante il percorso al buio si può toccare con mano: la guida supporta le persone, le prende per mano, le accompagna attraverso le parole ma anche gli stessi viaggiatori si supportano a vicenda.
La spontaneità di affidarsi a persone prima mai conosciute in una comunanza di situazione, oltre lo sguardo, oltre il potere di un giudizio, restituisce dignità alla comunicazione del corpo e a quella condivisione e attenzione per l’altro che forse oggi si dà un po’ per scontata. Condivisione che trova il suo culmine nel momento dell’aperitivo al bar, in assenza di luce. Affidandosi al tatto, all’olfatto, al gusto viene più facile fare domande, cercare di capire la disabilità visiva a 360 gradi. Specifica Maria: «Il secondo obiettivo di Dialogo nel buio è sensibilizzare attraverso le domande, attraverso la chiacchierata con la guida proprio sulla figura della persona cieca o ipovedente».
Inno all’ascolto
Dialogo nel buio è anche un inno all’ascolto, un soffermarsi sulle parole, su suoni e rumori. Racconta Maria: «L’udito è fondamentale, anche nell’individuare lo stato d’animo di una persona: voi vedete il volto sorridente, io sento il tono allegro». L’importanza delle parole in Dialogo nel buio emerge in tutta la sua maestosità. In un’epoca basata principalmente su input visivi, spesso non si presta attenzione ad ascoltare l’ambiente circostante o le parole di una persona. Lo sa bene Maria, che si occupa anche dei laboratori didattici organizzati con gli studenti delle scuole. Il gioco del fazzoletto al buio, giocare con una palla sonora, indovinare gli oggetti attraverso il tatto sono solo alcune delle attività organizzate per le scuole.
I risultati sono il miglioramento dell’ascolto, dell’attenzione e dell’immaginazione. Spiega Maria: «Noto spesso nei giovani una carenza di attenzione e difficoltà a immaginare, forse perché ci sono molti stimoli visivi; c’è bisogno di avere un’immagine. Tuttavia, un semplice suono può regalare sensazioni differenti». Ecco allora che una persona può immaginarsi un’alba, un tramonto o un cielo stellato; uno stesso suono può infondere gioia, nostalgia, rilassatezza. «Io chiedo sempre ai bambini di raccontarmi il loro paesaggio usando gli altri sensi e l’immaginazione». Dialogo nel buio diventa allora anche uno spazio fisico e mentale dove potersi esprimere liberamente: «Uno dei timori che condividono grandi e piccoli è la paura dell’ignoto; ho molte soddisfazioni quando le persone sono intimorite all’inizio e poi si lasciano andare».
Verso una società sempre più inclusiva
Rispetto ai tempi passati sono stati fatti notevoli miglioramenti in termini di accessibilità e rimozione delle barriere. Grazie ai progressi tecnologici è possibile supportare al meglio ipovedenti e non vedenti: sintesi vocali, screen reader, stampanti Braille e molti altri dispositivi sono all’ordine del giorno. «La società si dimostra sempre più inclusiva anche per quanto riguarda l’accessibilità artistica e turistica. Le città si stanno dimostrando molto attente, basta pensare per esempio ai percorsi tattili anche nelle stazioni».
Tuttavia, si può ancora migliorare: «Per esempio, una maggiore manutenzione da parte dei gestori delle strade nel sistemare dissestamenti o che ci sia una maggiore sensibilità nel non lasciare biciclette o monopattini per le strade o ancora che non si accarezzino i cani guida perché stanno lavorando». Serve, insomma, sempre più consapevolezza e attenzione verso la collettività, sebbene la vera responsabile possa essere considerata «la frenesia di questa vita, che ci porta a essere più individualisti, meno attenti a cogliere i dettagli. Noto comunque una maggiore apertura mentale».
Dialogo nel buio: la storia
Dialogo nel buio nasce a Francoforte nel 1988, quando in un’emittente radiofonica il giornalista Andreas Heinecke lavora con una persona cieca e si rende conto che la quotidianità del collega è ricca di interessi e di attività. Inventa così un percorso al buio dove persone cieche e non possono conoscersi e grazie a questa conoscenza anche i pregiudizi vengono meno. Dialogo nel buio ha così successo in tutto il mondo. A Milano Dialogo nel buio debutta nell’ottobre 2002 a Palazzo Reale.
L’iniziativa resta a Palazzo Reale fino a febbraio dell’anno successivo, ma l’entusiasmo delle persone fa sì che l’esperienza resti in modo permanente dal 2005 all’Istituto dei ciechi di Milano, dove si impegnano per la mostra circa 80 persone di cui circa 60 non vedenti i ipovedenti. Dialogo nel buio regala un differente modo di vedere, perché la vista non è l’unico senso a disposizione. E voi siete pronti a intraprendere un viaggio nell’esplorazione attraverso i sensi?