«Vorremmo permettere ai malati di SLA di vedere il Grand Canyon, o la Senna grazie alle immagini riprese da un drone che loro stessi pilotano da remoto. Semplicemente guardando il monitor di un computer». Così ha raccontato Antonio Depau, socio di 3D Aerospazio, una startup sarda che a fine settembre ha concluso un test che mischia tecnologia e sostegno alla disabilità. Il 21 enne Paolo Palumbo, giovane affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica, è stato il protagonista del primo volo di un drone pilotato grazie agli occhi, i suoi. Come ha spiegato Depau, «lui si trovava in casa, a Oristano, il drone e il pilota di sicurezza erano a 100 km di distanza, nell’aviosuperficie Aliquirra, a Perdasdefogu. Dall’altra parte della Sardegna».
Bastano gli occhi
Il progetto di 3D Aerospazio è soltanto agli esordi, ma la startup sta già collaborando con l’ENAC (l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) per capire come allargare, sempre in sicurezza, la guida dei droni anche ai malati di SLA. La tecnologia innovativa non riguarda il drone, ma il software in grado di manovrarlo da remoto: basta che la persona orienti su uno schermo il puntatore oculare – dispositivo informatico già utilizzato dai pazienti per interagire con i computer -, soffermandosi per qualche secondo sulle frecce di direzione visibili sul monitor. «Trattandosi di una malattia davvero grave – precisa Depau – è ovvio che non tutti i pazienti potranno guidare un drone da remoto. Quello che vogliamo fare è soltanto dare una possibilità: permettere a più persone possibili di usufruire di una tecnologia che apra loro una finestra sul mondo».
Il primo test in Sardegna
Paolo Palumbo ha concluso con successo il primo test, durato in tutto una decina di minuti, manovrando un drone in autonomia da casa sua, mentre un pilota ha monitorato la situazione subito dopo il decollo. «Paolo ha imparato subito a guidarlo. Una volta che gli abbiamo messo in quota la macchina, ha fatto tutto lui», raccontano dalla startup. La macchina volante si trovava all’interno dello spazio aereo del Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ), in provincia di Nuoro, dove un team di esperti ha ammirato le manovre del ragazzo.
Le emozioni grazie a un drone
Come ha spiegato Antonio Depau, la startup intende donare questa tecnologia ai pazienti e al mondo della ricerca. «Lo consideriamo come il contributo della nostra azienda alla società». Oltre alle emozioni che le immagini di un drone possono regalare a persone spesso costrette alla paralisi, nell’iniziativa è prevista anche la presenza di medici, che raccoglieranno dati e informazioni sui potenziali benefici. «Il progetto – spiega Gianfranco Parati, che insegna Medicina cardiovascolare all’Università di Milano Bicocca – si propone di contribuire alla terapia occupazionale dei pazienti, offrendo l’opportunità di creare un contatto con il mondo esterno osservandolo attraverso gli occhi di un drone pilotato da loro stessi».
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L’Istituto Auxologico Italiano IRCCS, di cui Parati è Direttore Scientifico, «si occuperà anche di condurre progetti di ricerca che possano valutare quantitativamente l’impatto di questa tecnologia su alcune funzioni neurologiche e cardiovascolari di questi pazienti, nonché globalmente sulla loro qualità di vita». Nel frattempo, la startup già sogna un’applicazione globale di questa tecnologia. «Sarebbe bellissimo – ammette Antonio Depau – permettere a un malato di vedere un posto dall’altra parte del pianeta. A quel punto basterebbe accordarsi con un pilota che dovrebbe soltanto portare il drone in quella località, stabilire il contatto con qualcuno e regalargli gli occhi del drone».