Giuristi, avvocati e studiosi americani ricorrono a sofisticati sistemi di analisi dati, algoritmi e crowdsourcing per prevedere e verificare la correttezza delle sentenze della Corte Suprema.
Nel mondo della giurisprudenza Usa l’automazione va sempre più forte. Giuristi, avvocati e studiosi ricorrono a sofisticati sistemi di analisi dati, algoritmi e crowdsourcing per prevedere e verificare la correttezza delle sentenze della Corte Suprema, che influenzano l’intera società (dall’aborto alle unioni gay alla prossima sull’Obamacare).
I modelli
Si tratta della naturale estensione dei modelli statistici avviati da tempo, come il Supreme Court Forecasting Project lanciato nel 2004 dal team guidato da Theodore Ruger, docente presso la University of Pennsylvania. Basandosi sulle precedenti sentenze, quel modello ha azzeccato il 75% delle successive decisioni dei massimi giudici togati. Più recentemente, il South Texas College of Law ha messo a punto un modello più sofisticato, basato su un algoritmo con oltre 90 variabili, inclusa l’inclinazione ideologica dei giudici, le decisioni delle corti minori e quelle su casi analoghi. E ha previsto con esattezza il 71% delle singole votazioni dei giudici della Corte Suprema dal 1953 a oggi.
La tecnologia è centrale anche nel sistema della giurisprudenza civile, a partire dall’inoltro di richieste e documenti per i tanti casi spiccioli quotidiani, da assegni scoperti a sfratti per inquilini morosi ai restraining order contro ex mariti aggressivi. In diversi Stati (New York, California, Texas, Illinois) a breve i relativi moduli potranno essere riempiti con un semplice smartphone (in attesa di vere e proprie app), evitando così ore di attesa nella aule di giustizia locali. E i centri di self-help implementati fin dal 1997 nei tribunali californiani, per esempio, vanno sempre più trasferendosi online (anche in spagnolo): quello del California Administrative Office of the Courts raccoglie oltre 5 milioni di visite l’anno e 4.000 pagine d’informazioni varie, con l’obiettivo finale di creare analoghi portali per i vari Stati (molti dei quali gestiscono già propri siti, account sui social media e perfino canali YouTube a questo scopo).
Secondo uno studio relativo alla San Joaquin Valley, i servizi di self-help hanno portato a significativi risparmi di tempo (e quindi, denaro) sia per i giudici che le parti in causa, mentre il programma della Manhattan Family Court ha tagliato le udienze su una varietà di diatribe famigliari a una media15 minuti, rispetto alle quattro ore di pochi anni fa. E non appena tale programma sarà disponibile sui device mobile, il suo utilizzo «crescerà in maniera esponenziale», spiega il giudice Fern Fisher, responsabile del progetto.
I Big data (e la tecnologia) contro la lentezza burocratica
Com’è noto, l’estrema complessità delle normative legali e le sottigliezze delle sentenze giudiziarie tradizionalmente hanno lasciato carta bianca ad avvocati specializzati (con esorbitanti tariffe orarie) e a giudici sempre più affogati di casi da discutere (e quindi meno sereni e attenti nelle decisioni). Invece quest’ondata di innovazioni automatiche punta a “dare potere” ai singoli cittadini, livellando l’accesso alle informazioni e facilitando la “corretta” applicazione della giustizia.
D’altronde non c’è dubbio che il semplice fatto di poter scandagliare automaticamente i database che raccolgono montagne di sentenze, commenti e dispositivi vari è importate per ogni operatore di giustizia. Ovviamente tali database devono essere aperti e condivisi, e l’applicazione degli open data diventa vitale soprattutto in questi campi così delicati. Un passo fondamentale anche per paesi come l’Italia, tuttora affetta da pastoie burocratiche e lungaggini inenarrabili. Chissà se la piattaforma lanciata recentemente da Simone Aliprandi, JurisWiki, che mette online gratuitamente tutte le sentenze e le banche dati giuridiche italiane possa contribuire a snellire la giustizia del Bel Paese.
Ma se l’automazione torna senz’altro utile per muoversi al meglio nei labirinti giudiziari, qualcuno non manca di sottolinearne rischi e limitazioni, soprattutto rispetto alla concezione di “macchine/arbitri imparziali” dei giudici della Corte Suprema Usa (assai radicata nel diritto anglosassone). Si rimarca cioè che in questi casi non è la sola sentenza che conta, bensì le sue argomentazioni, le singole posizioni pro e contro, e il dibattito pubblico così innescato. Più in generale, non si tratta tanto di promulgare decisioni solo in base a cifre, dati e precedenti legali, come una sorta di deus ex machina, quanto piuttosto di analizzarne le ricadute complessive, contestualizzare le questioni in ballo e quant’altro. Meglio insomma che le questioni più spinose restino nelle mani degli esseri umani, per quanto fallibili e pregiudiziali?
Perché non puntare invece verso un ponderato e necessario mix tra queste due posizioni contrapposte? Viste anzi le inevitabili complessità della giurisprudenza e dell’assistenza legale, le sofisticate automazioni di cui sopra e le tecno-innovazioni del futuro non potranno che portare miglioramenti per tutti, purché integrate al meglio con le sfumature dell’approccio umano e l’esperienza di giudici e addetti ai lavori.
By Bernardo Parrella