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Una fiaba e un gioco per raccontare il carcere a chi non lo vive, insieme a un gruppo di sostegno alla genitorialità. Questi sono alcuni dei progetti messi in atto da alcuni detenuti del carcere di Opera della sezione a trattamento avanzato Vela dell’Asst Santi Paolo e Carlo, supportati dagli operatori. Un modo per raccontare e raccontarsi, affrontando con semplicità e delicatezza temi importanti.

Dal carcere una fiaba per raccontare la verità

Un bambino senza nome immerso in un paese fantastico e magico, che a un certo punto non trova più il suo papà, vede la mamma triste e inizia a domandare e a cercare risposte, ripercorrendo alcuni episodi durante i quali il profumo del legno emanato dal padre lascia il posto ad altri odori. Per scoprire la verità, il bimbo affronta un viaggio supportato da un aiutante magico per arrivare alla verità e risentire ancora il profumo del legno. 

«‘Il profumo del legno’ è la fiaba frutto della collaborazione tra detenuti e operatori. Il progetto nasce dal desiderio e dal bisogno dei detenuti di raccontare la verità ai loro figli e spiegare dove realmente si trovano», spiega Anna Ravera, educatrice. «A partire da questi bisogni, abbiamo cercato di trovare strumenti adeguati per poter parlare ai bambini del tema dei reati e delle sostanze stupefacenti, aiutati da una professoressa di italiano e da una scrittrice di fiabe». 

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Foto Pexels – Karolina Grabowska

Ecco allora che hanno preso forma tutte le caratteristiche della fiaba delineate dal linguista e antropologo Vladimir Jakovlevič Propp: un protagonista, un antagonista, un aiutante magico, le peripezie e il lieto fine. Un progetto che ha visto un lavoro di rete tra detenuti, educatori, psicologi e varie altre figure che lavorano nell’ambiente carcerario. «Abbiamo trovato poche fiabe che raccontano la detenzione e nessuna che la racconti attraverso un processo condiviso tra operatori e detenuti». Un percorso che può essere utile a tutti: ai detenuti che si avvicinano al punto di vista dei figli e che trovano il modo di raccontare la verità, ma anche a tutti i bambini che a un certo punto possono trovarsi a dover affrontare alcuni momenti di difficoltà, oppure a chi vuole conoscere il carcere.

La fiaba ha l’obiettivo di colmare quel vuoto assordante di linguaggio che può crearsi tra genitori in carcere e figli, creando un punto di partenza per poter far nascere domande alle quali dare risposte tessendo un dialogo autentico e trasparente. Il racconto è in attesa di pubblicazione ed è stata lanciata una campagna di crowdfunding per poter realizzare nel concreto questo progetto. 

La verità va raccontata ai bambini?

Il tema della verità raccontata ai bambini è un tema rilevante, non solo in carcere ma in varie situazioni della quotidianità. Spesso si lascia trascorrere del tempo, si aspetta che i bambini crescano. Ma siamo certi che questa costituisca la strategia più funzionale? A dare una risposta è Raffaella Ferrario, educatrice che in carcere conduce un gruppo di sostegno alla genitorialità: «Ci sono tanti temi tabù nelle famiglie, ignorati o rimandati, che creano distanza; il non detto genera pensieri più paurosi rispetto alla realtà. Noi accompagniamo i genitori detenuti a verbalizzare e, quando la verità è svelata, l’adulto non è più colui che confonde e manda messaggi contradditori, ma diventa trasparente e il rapporto diventa più saldo, sincero e profondo».

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Foto Pexels – Cottonbro Studio

Un sostegno alla genitorialità in carcere per ritrovarsi

Il processo di verità è lungo e ogni persona detenuta sceglie i suoi tempi e modi. L’obiettivo prioritario del gruppo di sostegno è però provare a restituire il ruolo genitoriale nonostante la carcerazione, i pochi momenti di contatto con i figli e la distanza da tutti i processi della vita quotidiana. «I detenuti tendono a delegare quasi completamente la parte educativa alle madri o ai parenti esterni, a non mostrare la loro fragilità e a comunicare all’esterno un certo grado di serenità, perché non vogliono aggravare il peso della loro carcerazione alla famiglia», prosegue Ferrario. Tuttavia, così si crea un divario sempre più grande con la famiglia, perché si evita di parlare di affettività e di emozioni. «Questo non fa bene né ai detenuti né ai bambini. Per questi motivi, in un’ottica preventiva, si cerca di supportare il genitore a utilizzare i momenti di incontro per colmare queste distanze e comunicare la verità».
Gli obiettivi del gruppo sono molti: non solo il racconto della verità, ma anche la preparazione di un colloquio con i figli o la condivisione degli spazi gestionali con le madri dei bambini. Tutte tematiche che pongono al centro i bisogni dei detenuti, ma in fondo anche quelli dei bambini, in un’ottica di recupero di un dialogo necessario e autentico.

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Non solo fiaba. In carcere nasce ‘Il gioco dell’Opera’

Il tema del racconto non è solo intimo e individuale, ma può essere anche creativo e giocoso. A Opera la vita in carcere può essere anche raccontata attraverso una rivisitazione dei classici giochi dell’Oca e del Monopoli: infatti, è nato ‘Il gioco dell’Opera’. L’idea di realizzare artigianalmente questo gioco inizia quasi per divertimento, frutto della collaborazione tra un operatore del carcere – Federico Ravaglia – e alcuni detenuti.
Il tabellone è costituito da 64 caselle, ognuna delle quali rappresenta un momento della vita in carcere: il primo ingresso, la partita a carte, le telefonate alla famiglia o al legale, le docce, la ‘domandina’, cioè un foglio per presentare le proprie richieste, uno dei lavori retribuiti come il call center per aziende esterne, il teatro, la chiesa, l’istruzione, la palestra, i colloqui e molti altri momenti della vita in carcere. Il percorso parte dal centro – il carcere – e si conclude fuori, in un’accogliente casetta. Non mancano gli imprevisti, che aiutano o ritardano l’arrivo.
Per esempio, le caselle che rappresentano fatti quali l’aiutare il compagno di cella malato, la costruzione di una mensola, i colloqui, la partecipazione alle attività, l’inizio di un lavoro o i permessi premio fanno avanzare lungo il tragitto; al contrario, le caselle che raffigurano lo sciopero della terapia, una discussone particolarmente animata, la mancata partecipazione alle attività, il rifiuto del lavoro, una relazione comportamentale negativa, la sospensione dei permessi premio o fatti un po’ più ‘leggeri’, come il caffè che termina, fanno retrocedere nel percorso. 

Raccontare la vita in carcere con un gioco

«Sono disegni molto evocativi, che raccontano il carcere in modo dolce», spiega Federico Ravaglia. «Questo gioco alla fine si è rivelato essere un metodo di comunicazione da parte dei detenuti per raccontare la quotidianità ma anche la ricchezza in carcere». 

Il gioco dell’Opera va a scardinare il falso stereotipo che il carcere sia un congelatore, un luogo in cui la vita resta sospesa. «In realtà, succedono molte cose e la vita va avanti. Il racconto regala valore a esperienze dolorose ma anche molto ricche». Il desiderio è quello di creare un ponte tra interno ed esterno attraverso un gioco basato sul racconto, stampato e venduto. Ora in carcere è nato un vero e proprio laboratorio di assemblaggio e si è creata anche una rete di collaborazione fra alcuni istituti penitenziari italiani. 

Un dialogo con la società

La cura e la delicatezza dei progetti messi in atto contribuisce a raccontare il carcere attraverso una luce differente, che scardina molti stereotipi e contribuisce a tessere un dialogo non solo tra i detenuti e le loro famiglie, ma anche con tutta la società.