Una realtà unica, che permette di abbattere stereotipi e pregiudizi, in un ambiente dove poter gustare buon cibo in compagnia. InGalera è il ristorante realizzato all’interno del carcere di Milano Bollate, in cui i detenuti lavorano, seguiti da uno chef e un maître professionisti: è aperto al pubblico dal 2015, sia a mezzogiorno che alla sera, ma la sua storia inizia molti anni prima.
La storia del ristorante InGalera
«Sono entrata nel carcere di Bollate nel 2003», racconta Silvia Polleri, presidente della cooperativa sociale onlus, ABC La sapienza in tavola, che si occupa del progetto. «Considerato che per dieci anni avevo avuto un mio servizio di catering attraverso il quale coccolavo la borghesia milanese, la direzione di allora mi propose di aprire un servizio in cui potessero lavorare i detenuti».
Una proposta particolare e molto importante, su cui Polleri inizialmente si riserva di rifletterci: «Successivamente ho proposto di effettuare una prova per un anno per vedere se questa sperimentazione si potesse trasformare in un vero e proprio lavoro per i detenuti. Inoltre, ho voluto spiegare quale sarebbe stata la caratteristica del progetto: ho detto che non saremmo stati il ‘catering della misericordia’ e che avrei portato il bon ton in galera».
Scommessa vinta. «Ho trovato un terreno molto fertile, perché la direzione voleva esattamente questo: lavoro vero, ad alto profilo. In poco tempo abbiamo consolidato questa esperienza e nel 2004 siamo riusciti a costituire la cooperativa».
L’idea del ristorante contro gli stigmi
Con il tempo nell’iniziativa entra anche l’Istituto alberghiero Paolo Frisi, che dal 2012 ha la sezione carceraria pubblica. Silvia Polleri però sente che manca un ultimo tassello: «La profonda convinzione di dover far conoscere il mondo del carcere anche fuori per contribuire a togliere lo stigma che spesso si dà a chi è stato in prigione. Questo è il passaggio più difficile, perché noi fuori diamo il fine pena mai. Così, mi sono inventata l’idea del ristorante in prigione aperto al pubblico e gestito dai detenuti, perché volevo trovare l’escamotage per far entrare in carcere la società esterna».
Uno strumento potente per riflettere
Inizialmente le persone arrivano per lo più per curiosità, ma una volta all’interno trovano mille spunti di riflessione. «Definisco il ristorante InGalera uno strumento potente: in meno di nove anni sono passate di qua quasi centomila persone, che altrimenti non si sarebbero mai preoccupate di che cos’è il carcere. C’è una dicotomia tra quello che recita la nostra Costituzione in termini di reinserimento e di rispetto della persona e quello che invece solitamente accade nella realtà».
Una palestra per la vita
Uomini e donne che si siedono ai tavoli del ristorante InGalera come clienti sperimentano un’esperienza unica. Da un lato il desiderio di conoscere da vicino un progetto che ritengono importante, dall’altro il confronto con i pregiudizi e le convinzioni che ognuno porta con sé. Tutti e tutte, però, «riconoscono l’applicazione dei principi che rivendichiamo».
Prosegue Silvia Polleri: «Io neanche conosco i reati che ha commesso chi lavora al ristorante, e non mi interessa, poiché ho imparato da una mia direttrice che un detenuto non è il suo reato che cammina. È però necessaria anche la consapevolezza che ci sono state delle vittime di questi gesti, che hanno bisogno di rispetto». Insomma, l’esperienza del ristorante diventa per tutti e tutte, per chi vive in carcere e per chi arriva dall’esterno, «una palestra per la vita».
Tra rispetto delle regole e creatività
I benefici ci sono per entrambe le parti: la società impara a conoscere uno spaccato di realtà al quale non è abituata, ma lo stesso accade alle persone che lavorano al ristorante InGalera. «Quello della ristorazione è un ambiente molto prescrittivo, che prevede il rispetto di numerose regole, ma in un ambito di grande gratificazione, poiché manipolare le materie prime, sentire i profumi e i sapori, inventare ricette sono attività importantissime per chi in un determinato momento è privato della libertà».
Il ristorante diventa allora un luogo dove imparare a rispetto determinate norme, anche un’occasione all’insegna della creatività per ritrovare la bellezza dei cinque sensi.
La cultura del lavoro
Tutte le persone che lavorano al ristorante InGalera sono regolarmente assunte e hanno la possibilità di sperimentare la cultura del lavoro, attraverso un percorso di formazione professionale e responsabilizzazione, che «fa abbassare il tasso di recidiva al 17-20% contro circa il 70% in Italia».
«Noi lavoriamo nella piena dignità, non saremo mai quelli della misericordia», sottolinea Polleri con orgoglio. La cooperativa si mantiene da alcuni anni in modo autonomo. «Ce l’abbiamo fatta», commenta soddisfatta.
Benvenuti in Galera, il docu-film sul ristorante
E c’è anche un docu-film dedicato al ristorante: ‘Benvenuti in Galera’, per la regia di Michele Rho, regista affermato che ha avuto la fortuna di toccare con mano il progetto poiché è il figlio di Silvia Polleri, che sottolinea: «Siamo stati ripresi nelle normali attività e il docu-film è già diventato un fenomeno multimediale».
Leggere la vita in modo differente
«Mi ritengo una persona fortunata ad avere avuto questa opportunità, perché mi ha insegnato a leggere la vita in maniera differente e questo è un dono grande».
A Silvia Polleri nel 2015 è stato riconosciuto dal Comune di Milano ‘L’Ambrogino d’Oro’: «Sento una grande responsabilità». La più grande soddisfazione, invece? «Ogni volta che vedo un cammino andare a buon fine, oltre al fatto che le persone continuano a chiamarmi anche alla fine dell’esperienza, riconoscendo il valore dell’opportunità data».