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Un laboratorio teatrale che diventa comunità e relazione. È questa la peculiarità di Alcantara, associazione culturale e teatrale di Rimini che – oltre a fare teatro con i ragazzi e le ragazze – propone laboratori psicosociali che coinvolgono in varia misura persone con disabilità, famiglie, volontari e volontarie, educatori ed educatrici, ma anche spettatori. Al centro è la persona, colta in tutte le sue sfaccettature. 

«Quest’anno Alcantara compie 40 anni», racconta orgoglioso Damiano Scarpa, uno dei fondatori. «La sua storia è nata attorno alla pedagogia teatrale». L’inizio della meravigliosa storia di Alcantara comprende la volontà di offrire un ampio spettro di possibilità «espressive, comunicative e relazionali» a bambini e bambine, ragazzi e ragazze.

Un corpo che diventa poetico

Presto, però, l’equipe di Alcantara si apre anche a laboratori con persone che hanno disabilità intellettive o difficoltà relazionali, mettendo la persona al centro e dando a tutti e a tutte la possibilità di raccontarsi grazie al proprio corpo. Spiega Damiano Scarpa: «Il corpo diventa poetico nel momento in cui diventa narrazione e racconta attraverso i gesti la sua relazione con il mondo». 

Nasce così un teatro dove il corpo è libero di esprimersi, un teatro di immagine e di movimento. Precisa Anna Pizzioli, anche lei fondatrice: «Il nostro scopo è di non costringere la persona con disabilità a seguire i tempi del mondo quotidiano ma di valorizzare l’identità delle persone». Diventa allora importante il modo di relazionarsi con gli altri, che è unico per ognuno di noi. «Non è una terapia, ma è un teatro delle possibilità», sottolinea Scarpa. 

Movimenti che diventano relazioni

Secondo la linea pedagogica di Alcantara, deve esserci una ricerca di una modalità comune di espressione e di comunicazione, dove si indagano le diverse possibilità di movimento che poi diventano poesia, racconto, gesti, parole, relazioni. Si crea un luogo di fiducia reciproca, dove si rompono schemi precostituiti e pregiudizi.

Spiega Damiano Scarpa: «Non è la scuola del saper fare ma è la scuola del saper essere», che ruota attorno all’unicità di tutti e tutte. «Dentro il nostro modo di fare teatro c’è spazio per tutti. Ognuno porta il suo stare al mondo e non può essere sostituito perché porta la sua identità». Così tutti e tutte sono costantemente dentro «l’errare», inteso come viaggiare lungo un percorso che significa «stare sempre all’interno di una possibilità di fare diversamente», senza rigidità. 

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Parole chiave: relazione e comunità

Un teatro di relazione e di comunità, dove a fare rete sono le persone con disabilità l’equipe di educatori ed educatrici, i volontari e le volontarie, ma anche artisti, musicisti e danzatori, oltre al pubblico che assiste poi agli spettacoli. Un teatro che mette tutti e tutte a contatto con l’io più profondo, personale e altrui. 

Sottolinea Anna Pizzioli: «Si lavora insieme, siamo tutti e tutte sullo stesso piano, ognuno con i suoi pregi e le sue difficoltà. All’interno del gruppo tutti si devono mettere in discussione». Emerge allora l’identità e l’autonomia individuale, «ognuno con le proprie diversità, perché siamo tutti diversi l’uno dall’altro».

Espressione di vita del gruppo

Le parole d’ordine sono ascolto, rispetto e lavoro collettivo. «Tutto viene creato insieme al gruppo, partendo dalle esperienze personali, da quelle che si fanno insieme, dalle uscite, dalla scrittura e dalle letture. Il lavoro finale è espressione della vita del gruppo». 

«Siamo sempre in ascolto. Loro raccontano cose che neanche ci si immagina», aggiunge Damiano Scarpa. Nel gruppo si abbandonano le domande e le risposte precostituite, quelle alle quali siamo abituati, per lasciare spazio «all’imprevisto, a ciò che non si pensa, perché si resta troppo aggrappati alla consuetudine. Qui sta la bellezza».

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I benefici non sono difficili da immaginare, come racconta Anna Pizzioli: «Sentire che è importante quello che stai facendo, che fai parte di un gruppo, che accetti delle regole e che quindi hai maggiore autonomia e autostima, perché c’è il riconoscimento delle possibilità».  

Il gruppo di Alcantara non si è fermato neppure durante il Covid, trasferendosi per un periodo sull’online, come racconta Anna: «Abbiamo cercato nuovi modi di comunicare, valorizzando molto l’autobiografia e la scrittura. L’atmosfera che si creava era molto simile a quella del vivo». Ognuno cercava i materiali che aveva già a casa per dare vita a una «narrazione» che era importante continuasse, a un’arte costruita con la creatività. «La presenza del gruppo ha permesso di rispondere all’esigenza di mantenere la relazione – specifica Damiano Scarpa -. Torna talmente tanto da questo rapporto che sarebbe quasi un tradimento non continuare». 

La forza nell’incontro con l’altro

Alcantara allora apre le porte a un teatro che si apre al mondo e resta nel mondo, che crea un rapporto immediato e quasi magico con l’essenza delle persone, al di là delle etichette, degli stereotipi e dei pregiudizi. Attraverso il contatto e la relazione si abbattono le barriere che allontanano le persone le une dalle altre solo perché non si assomigliano e, anzi, le identità si incontrano, dando vita a una comunità che fa nell’incontro con l’altro la sua forza.