In Italia vivono poco più di 10 milioni di giovani adulti, tra i 18 e i 34 anni, e meno di 10 milioni di bambini e ragazzi, a fronte di quasi 14 milioni di ultrasessantenni.
Non siamo un Paese per giovani e il Covid lo ha confermato: sono loro l’anello più debole di una nazione in stagnazione da quasi due decenni, che si affida più alla ricchezza accumulata che al reddito prodotto, più alle pensioni che agli asili nido, più agli investimenti nel mattone che in istruzione.
Con quali “cicatrici” della pandemia questa generazione dovrà fare i conti, anche fra molti anni? E, soprattutto, come offrire speranze e prospettive per il futuro? Perché, come ha dichiarato Renzo Piano, “sono i giovani che salveranno la terra. I giovani sono i messaggi che mandiamo a un mondo che non vedremo mai. Non sono loro a salire sulle nostre spalle, siamo noi a salire sulle loro, per intravedere le cose che non potremo vivere”.
La falsa narrativa dei “giovani untori”
Startupitalia ne ha parlato con Vincenzo Galasso, docente di Economia all’Università Bocconi e autore del libro “Gioventù smarrita. Restituire il futuro a una generazione incolpevole” (Ed. Egea). “Fin dalla prima conferenza stampa dell’allora premier Giuseppe Conte, nel marzo 2020, è passata la narrativa dei giovani untori: a loro è stata addossata la colpa di diffondere il virus e mettere a rischio gli anziani. Senza ovviamente mettere in discussione la necessità di proteggere le categorie più deboli, possiamo però dire che questa per la politica è stata una narrativa conveniente, su cui poi i mass media hanno a loro volta insistito”.
Una narrativa falsa, però. Perché i ragazzi sono stati al contrario altruisti, verso genitori e nonni. “Pur rendendosi conto che il virus non li minacciava personalmente, sono stati molto ligi nel seguire le regole di lockdown imposte e oggi hanno un tasso di vaccinazione tra i più alti in Europa. Eppure vengono quasi colpevolizzati, accusati di farlo solo per riprendersi la loro vita. Che male c’è? In molti hanno dimostrato di essere resilienti, provando ad adattarsi a questa nuova situazione, ora è giusto che tornino ad uscire e fare sport”.
Gli “impressionable years” persi per sempre
Resilienti, ma anche fragili, perché il senso di smarrimento che hanno provato, e stanno tuttora provando, non è stato sufficientemente compreso. “In un periodo della vita fatto di scoperta del mondo e di socializzazione con l’esterno, loro si sono ritrovati chiusi in casa. Ci sono esperienze che non hanno potuto vivere e che non torneranno più”.
Sono i cosiddetti ‘impressionable years’, fondamentali per la crescita e la formazione. Con la pandemia, invece, niente feste dei diciotto anni, niente gite scolastiche, niente party di laurea. Maturità “light”, senza dizionari e prove scritte da vivere tutti insieme come un rito di passaggio alla vita adulta. Niente notte prima degli esami. Mesi di università fatti da casa, in DAD, senza lezioni in presenza, anche per chi aveva aspettato proprio questa fase per lasciare l’abitazione dei genitori.
Non rendiamola la “generazione Covid”
E così questa rischia di essere la “generazione Covid”, che dovrà fare i conti anche in un futuro lontano non solo con importanti disagi psicologici, ma anche con tante conseguenze concrete nel campo dell’istruzione e del lavoro. “In Europa l’Italia ha fatto più Dad di tutti e purtroppo i Paesi che si sono affidati di più alla didattica a distanza sono anche quelli con il tasso di occupazione femminile più basso. Gli svantaggi educativi derivanti da questa scelta sono evidenti, come emerge chiaramente dai risultati Invalsi, soprattutto per quanto riguarda le scuole medie e le superiori, che sono rimaste chiuse più a lungo delle elementari”.
Dalla scuola al lavoro: qui si rischia il cosiddetto “effetto cicatrice”. “In passato la letteratura economica – prosegue Galasso – ha evidenziato come i giovani che entrano nel mondo del lavoro durante un periodo di recessione hanno un salario più basso del 5-10%, anche a distanza di 10-15 anni. Le conseguenze per loro non saranno quindi temporanee, ma dureranno nel tempo. Dobbiamo poi considerare i 400mila posti di lavoro a tempo determinato che sono subito andati persi con la pandemia, e che riguardavano per la maggior parte giovani”.
Sguardo al futuro: Next Generation EU
L’Europa ha scelto di reagire alla pandemia con il piano Next Generation EU mettere qui il link al piano e la sfida è epocale per l’Italia, che accede all’ammontare di risorse più ingente, ma contemporaneamente accende il mutuo più ragguardevole. “Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) descrive molto bene la situazione attuale della scuola e i fondi messi a disposizione sono molti. Siamo ottimistica, anche se alcuni aspetti non sono chiari. Per esempio, di recente la finanziaria ha stanziato 300 milioni per l’istruzione, ma non si capisce come verranno spesi. Altri Paesi hanno deciso di allungare l’orario scolastico per recuperare le ore perse, mentre noi rimaniamo quelli con le vacanze più lunghe”. Anche il passaggio scuola-lavoro va migliorato, sia per quanto riguarda le competenze sia per l’incontro tra domanda e offerta. “Esperienze come navigator, centri impiego e Anpal (Agenzia nazionale politiche attive e lavoro, ndr) sono state piuttosto deludenti e credo che il Pnrr affronti questi temi in modo piuttosto timido”.
Fuga di cervelli (giovani)
Una sfida da non sottovalutare, anche per provare ad arginare una situazione che già era difficile prima del Covid. Nel 2019 sono emigrati all’estero 120mila italiani con un’età media di 30 anni per le donne e 33 per gli uomini. Un terzo del totale, con più di 25 anni, ha almeno una laurea (una proporzione più alta di quella dei laureati nella popolazione italiana). Una vera fuga di giovani cervelli. “Ci inorgogliamo quando apprendiamo da giornali, tv o social che sono stati protagonisti di importanti innovazioni o scoperte scientifiche, tralasciando di chiederci perché hanno avuto bisogno di andare altrove per trovare le condizioni adatte. O perché non capita quasi mai che innovazioni e scoperte siano fatte da ricercatori stranieri in laboratori italiani”.
Foto in alto di Norma Mortenson (Pexels)