«Stiamo capendo il valore della cooperazione, ma le persone sono sempre più connesse e sole. Ci sono tante startup che si occupano dei temi sociali, ma la politica è troppo debole». Intervista a Paolo Venturi (AICCON)
Il contesto pandemico e le recenti trasformazioni socio-economiche hanno riaffermato l’importanza dell’innovazione sociale. Nonostante l’attualità e la rilevanza del tema, manca tutt’oggi una visione strategica dei decisori politici e un pieno riconoscimento dell’importanza dell’innovazione sociale per la qualità delle nostre società e il benessere collettivo dei cittadini, soprattutto in democrazie caratterizzate dal cronico indebolimento dei corpi intermedi. La social innovation include un insieme molto ampio di iniziative, attività e soggetti, comprese le startup a vocazione sociale, sempre più numerose e importanti. Intervista al professor Paolo Venturi, uno dei massimi esperti di innovazione sociale in Italia, direttore di AICCON – Associazione Italiana per la Promozione della Cultura della Cooperazione e del Non Profit, il Centro Studi promosso dall’Università di Bologna, dall’Alleanza delle Cooperative Italiane e da numerose realtà, pubbliche e private, operanti nell’ambito dell’Economia Sociale, con sede presso la Scuola di Economia e Management di Forlì – Università di Bologna. Ricordando che quando si parla di innovazione sociale bisogna pensare in grande, allargare l’orizzonte partendo da una certezza: «Più spingiamo sull’innovazione sociale, tanto più promuoviamo anche la felicità pubblica, mettendo al centro le relazioni tra gli esseri umani».
“Da soli non ce la facciamo, perciò all’interdipendenza si aggiunge la cooperazione, per affrontare i grandi dilemmi che la contemporaneità ci pone di fronte”
Quali sono le nuove evidenze dell’innovazione sociale, nello scenario post pandemico?
L’innovazione è tale solo se è sociale, questa è un’evidenza ancora più chiara dopo la pandemia. Vivendo un male comune abbiamo capito cos’è il bene comune, siamo diventati più consapevoli dell’interdipendenza che caratterizza le nostre società. Le regole non sono più vissute e interpretate come elementi individuali, ma un contributo fondamentale per il bene di tutti. La secondo evidenza è l’affermarsi del metodo cooperativo, lo vediamo chiaramente sulle tematiche ambientali, la guerra, la salute pubblica e in tantissimi altri esempi. Da soli non ce la facciamo, perciò all’interdipendenza si aggiunge la cooperazione, per affrontare i grandi dilemmi che la contemporaneità ci pone di fronte. Cooperare significa condividere mezzi fini, ossia un salto in avanti rispetto alla semplice collaborazione, che comporta di condividere i mezzi, avendo fini diversi. Ma la pandemia non è l’unico innesco di cambiamento.
Quali altri fattori concorrono?
La pandemia in realtà è una sindemia, un insieme di problemi inerenti la salute pubblica, l’ambiente, la società e l’economia. Sono tutti aspetti che interagiscono e chi riguardano la vita di tutti. Alla base di tutti questi problemi troviamo un deficit in termini di abilità, umanità e socialità. Qualsiasi soluzione non può ignorare il valore aggiunto dell’innovazione all’interno di un orizzonte sociale, per migliorare la qualità delle nostre società.
“Le persone sono sempre più connesse ma sole. Un’insoddisfazione che trova soluzioni nei populismi, essendo venuti a mancare i corpi intermedi e gli spazi di mediazione sociale. Abbiamo smesso di pensare a noi stessi come soggetti che insieme possono risolvere i problemi”
Eppure, la società post pandemia sembra molto polarizzata con forti tratti di aggressività…
Le persone sono sempre più connesse ma sole e isolate, come confermano i dati dell’Istat. Una fragilità che genera polarità e rancore. Un’insoddisfazione che trova soluzioni nei populismi, essendo venuti a mancare i corpi intermedi e gli spazi di mediazione sociale. Abbiamo smesso di pensare a noi stessi come soggetti che insieme possono risolvere i problemi, affrontare la complessità. Perciò l’innovazione sociale diventa un metodo per costruire soluzioni buone, partendo dal basso.
Quali sono le caratteristiche dell’innovazione sociale?
L’innovazione sociale si rivolge a tutta la società avendo alla sua base le relazioni – da questo punto di vista la digitalizzazione è un potente fattore abilitante – e soprattutto deve avere una forte spinta dal basso, mobilitare l’intelligenza collettiva, le reti sociali, le comunità. Non dobbiamo pensare solo ai settori non profit, ma dobbiamo pensare all’innovazione sociale come l’open innovation orientata all’interesse generale.
“L’innovazione coinvolge diversi soggetti, dal non profit e for profit, dal pubblico al privato. Impegnati a costruire soluzioni buone per una società, ormai anoressica dal punto di vista della vitalità dei corpi intermedi”.
Chi sono i player dell’innovazione sociale, in Italia?
L’innovazione coinvolge trasversalmente diversi soggetti, dal non profit e for profit, dal pubblico al privato dal gratuito fino a chi, invece, ha obiettivi di business. Tutti insieme sono impegnati a costruire soluzioni, attraverso meccanismi partecipativi e collaborativi, in una società che è anoressica dal punto di vista della disponibilità e vitalità dei corpi intermedi. Contiamo 380.000 organizzazioni e un milione e mezzo di addetti, un mondo popolato da 5 milioni e mezzo di volontari in Italia. Non tutti creano innovazione sociale, ma la creazione di valore è sempre più connessa alla capacità di attivare energie e intelligenze collettive, allargare community, diffondere partecipazione. In questo scenario anche chi si pone come obiettivo il profitto, può assumere un ruolo decisivo passando dalla responsabilità sociale d’impresa, all’intenzionalità sociale d’impresa, valorizzando la reputazione e la competitività.
Che ruolo giocano le startup?
Le startup nascono e si attivano sempre più spesso sui temi sociali, pensiamo alle sfide ambientali, all’inclusione sociale, ai nuovi modelli di stili di vita, al benessere etc…Sono tutti ambiti dove oggi le startup, intenzionalmente, si stanno muovendo con degli obiettivi che hanno un forte impatto sociale. Le stesse banche o i venture capital chiedono informazioni dettagliate sull’impatto sociale delle iniziative, che sono chiamate a finanziare. Le startup, quindi, sono un attore importantissimo per l’attivazione di dinamiche inerenti l’innovazione sociale.
Le risorse e le politiche sono adeguate?
In Italia non c’è una politica sull’innovazione sociale, strutturata e di medio lungo periodo. Non c’è una visione strategica, ma c’è troppa ignoranza e l’innovazione sociale viene associata all’altruismo fine a sé stesso e all’assenza di business. È un grave limite perché l’Italia potrebbe essere la capitale mondiale dell’innovazione sociale, nel terzo settore, nel non profit e nella cooperazione siamo leader nel mondo. Basti pensare che non esiste un Paese migliore del nostro dal punto di vista della biodiversità d’impresa.
Dal mondo della politica, che segnali stanno arrivando?
Ho letto i programmi di tutte le forze politiche candidate alle prossime elezioni e non c’è traccia di politiche dedicate all’innovazione sociale. Nessun segnale dai partiti, c’è solo qualche riferimento, molto timido, nei programmi del Partito Democratico e di Azione. Non basta. Evidentemente non c’è fiducia e stima sull’economia sociale, come se questo mondo non esistesse. L’innovazione sociale viene percepita solamente per la sua capacità di riparare i danni fatti dallo Stato o dal mercato.
“Nei programmi elettorali di tutte le forze politiche non c’è traccia di politiche dedicate all’innovazione sociale. Solo qualche vago riferimento, molto timido”
Lei associa l’economia alla felicità. Eppure, sembra così difficile coniugarle…
Io parlo di felicità pubblica e di economia civile; una persona può massimizzare perfettamente la sua utilità, in solitudine, e usare i rapporti con gli altri in maniera strumentale. Ma non si può essere felici da soli, lo diceva già Aristotele, ma anche il The Word Happiness Report, e alcuni premi Nobel: la dimensione relazionale è necessaria per costruisce la felicità. L’economia sociale non è una categoria dello spirito, il primo manuale di economia di Antonio Genovesi, già nel 1.700, si intitolava Manuale di economia civile della felicità pubblica. Aumentare le dotazioni economiche deve significare aumentare il benessere collettivo e quindi la felicità delle persone. L’innovazione sociale mette al centro la relazione, più noi spingiamo sull’innovazione sociale tanto più automaticamente promuoviamo anche la felicità pubblica, mettendo al centro le relazioni tra gli esseri umani.