Un tranquillo angolo di Roma, nel popolare quartiere del Quadraro. È qui che ha sede una delle esperienze sociali più innovative degli ultimi anni. Parliamo della Locanda dei Girasoli, nata nel 1999 con l’obiettivo di promuovere l’inserimento – lavorativo e sociale – di persone con sindrome di Down, sindrome di Williams, sindrome dell’X Fragile e disabilità intellettiva. Un ristorante dove pizze e piatti della tradizione romana vengono eseguiti come da tradizione e dove l’ospitalità è gestita come in una grande famiglia.
Solidarietà e professionalità in cucina
L’occasione è rara, poter mangiare una carbonara o un saltimbocca e sentirsi come a casa. E se si ha voglia si possono scambiare quattro chiacchiere con Federico, che è il re della sala e tifoso sfegatato della Roma o Emanuele, aiuto-cuoco di grande esperienza e dal sorriso travolgente. E poi ci sono Viviana, Alan, Emanuela e tanti altri che rendono un pranzo o una cena qui un’esperienza non solo culinaria ma anche di crescita personale. “La Locanda dei Girasoli, amalgamando solidarietà e professionalità attraverso l’attivazione di percorsi integrati di formazione, è riuscita a creare posti di lavoro finalizzati all’integrazione lavorativa e territoriale, dando vita ad un esempio concreto di imprenditoria sociale vincente”.
Lavoro e formazione tra i tavoli
“Il nostro è un progetto di vita che in questi anni ha coinvolto tanti ragazzi che hanno potuto formarsi e imparare un mestiere. Ma, soprattutto, hanno avuto modo di rapportarsi con tante persone diverse, fare squadra e migliorare la fiducia in sé stessi”, racconta a Startupitalia Stefania Rimicci, che si occupa delle relazioni esterne della Locanda, che con una punta di orgoglio racconta “come alcune persone, anche finita l’esperienza da noi, vanno a lavorare in altri posti, ma quando possono tornano a fare volontariato”. La Locanda è gestita da un consorzio che fino a questo momento ha investito più di 1 milione e 600 mila euro su questo progetto. Una cifra importante che ha contribuito alla vera missione del ristorante: formare, in questi 20 anni, dei professionisti della ristorazione riconosciuti e apprezzati da tutti, grazie anche a uno staff sempre presente e alle famiglie che hanno creduto, e credono, in questo progetto che ha fatto da apripista per esperienze simili.
Accettazione degli altri e di sé stessi
“Venire da noi non significa solamente andare al ristorante – sottolinea Stefania Rimicci: “Significa prima di tutto sedersi a tavola con i propri problemi e uscire con il cuore gonfio d’amore, con una prospettiva diversa, una visione che magari non si era presa in considerazione. I nostri ragazzi ti abbracciano, anche emotivamente. Tra i tanti episodi a cui ho assistito in questi anni non posso dimenticare una mamma che è venuta con il figlio piccolo, con sindrome di down, che è scoppiata a piangere e mi ha detto che da noi aveva iniziato un percorso di “accettazione”.
Di suo figlio e di sé stessa. Ma sono tante le storie che si incontrano nella locanda: la tavola apparecchiata rappresenta uno dei momenti topici della nostra socialità, di uno stare insieme che tutti riconosciamo come nutrimento non solo per il corpo. Un doppio binario che se da un lato permette a ragazzi a volte chiusi in sé stessi o con difficoltà relazionali di rapportarsi con i clienti, dall’altro permette a questi ultimi di conoscere ambienti e dinamiche che spesso, purtroppo, non si ha modo di incontrare nella vita quotidiana.
Una futuro da ricreare insieme
“In questi anni, noi tutti, con grande sacrificio e orgoglio abbiamo trasformato un’utopia in realtà. I nostri ragazzi hanno imparato più di un mestiere e il significato della parola lavoro diventando dei veri professionisti. Hanno incontrato avversità e le hanno superate affrontandole a testa alta. Hanno conosciuto il rispetto per il prossimo e condiviso se stessi nella maniera più genuina. Hanno creato una famiglia che porta il nome di un fiore splendido che segue sempre il sole”. E se con queste parole, lo scorso gennaio, era stata annunciata la chiusura della Locanda, per fortuna il lavoro fatto ha fatto sì che cittadini e istituzioni corressero in aiuto di questa esperienza. “Tanta solidarietà, ma per il momento non è stata trovata nessuna soluzione”, precisa Stefania Rimicci: “Ci hanno chiamato le istituzioni, con le quali stiamo dialogando, ma anche molti privati. Fino ad ora abbiamo cercato di fare da soli, ma arrivati a questo punto il progetto necessita di una soluzione strutturale, sia per quanto riguarda il locale che per ciò che riguarda i fondi necessari per mandarlo avanti”. E conclude con un appello: “Bisogna fare presto, trovare una soluzione che permette di aprire in un nuovo spazio, con i macchinari adeguati e magari un supporto economico per ricominciare”.