Ecco l’innovativo metodo del Berkeley Lab che ricicla la plastica “dall’interno verso l’esterno” rendendola finalmente un materiale davvero circolare
La plastica è ormai ovunque così come i problemi che sta causando: additivi, coloranti, riempitivi o ritardanti di fiamma sono solo alcune delle sostanze che la rendono così nociva.
Ma arriva dagli Stati Uniti una scoperta che potrebbe segnare una nuova era per il riciclo. Gli scienziati del Lawrence National Laboratory di Berkeley, hanno messo a punto un metodo per scindere la plastica e ricomporla continuamente, senza perdita di resa o qualità.
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Un reimpiego che i ricercatori definiscono “dall’interno verso l’esterno” e che permette a questo materiale di assumere nuovi aspetti, colori e forme. Un’innovazione importante che viene dalla voglia di dare una risposta a uno dei rompicapo più complessi: come riciclare davvero la plastica?
Foto: Greenpeace
La rincorsa per la creazione di un “materiale circolare”
Tutte le materie plastiche, in quanto sottoprodotti del petrolio, infatti, sono difficilmente riciclabili senza conseguenze in termini di prestazioni o estetica.
Dalle bottiglie d’acqua alle parti di automobili, tutto è formato da grandi molecole chiamate polimeri, costituite da composti contenenti carbonio, i monomeri. Quando le sostanze chimiche e la plastica sono combinate per uso commerciale, i monomeri si legano con le sostanze chimiche.
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Il punto è che il processo presso l’impianto di riciclaggio diventa difficile poiché non essendo possibile separare adeguatamente le sostanze chimiche e i monomeri, i risultati dei nuovi prodotti sono imprevedibili. Proprio questo impedisce alla plastica di diventare un materiale “circolare”, ovvero, di essere recuperata il più possibile. Qualsiasi prodotto realizzato con plastica riciclata, infatti, non può più essere riutilizzato e finirà per essere incenerito per produrre calore, elettricità, carburante, o dimenticato in discarica.
I dati che allarmano il mondo
Oggi, l’inquinamento causato dalla plastica sul pianeta ha un impatto pari a 2,5 trilioni di dollari, un dato preoccupante non solo per l’ecosistema globale, ma anche per le aree dove ad essere fonte di reddito è la pesca. Gli animali soffrono e i corsi d’acqua si intasano; basti pensare che sono circa 8 milioni di tonnellate i rifiuti plastici che finiscono nelle nostre acque.
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Anche la plastica più riciclabile, il PET o il poli (etilene tereftalato) viene riciclata solo al 20-30%; il resto finisce tra inceneritori e discariche dove il materiale ricco di carbonio impiega secoli a decomporsi.
In Italia, nonostante la raccolta differenziata sia in aumento (+14%), il 40% della plastica raccolta non può essere riciclata. È doveroso precisare che si tratta di una percentuale piuttosto alta se consideriamo che, secondo l’OCSE, nel mondo solo il 15% della plastica viene riutilizzata e il 60% finisce in discarica o addirittura bruciato all’aperto. Tra i paesi con la più bassa percentuale di riciclaggio, spiccano proprio gli Stati Uniti, con uno scarso 10%.
Perché l’innovazione del Berkeley Lab è importante
“La maggior parte delle materie plastiche non sono mai state fatte per essere riciclate”, ha detto Peter Christensen che insieme a Angelique Scheuermann e Kathryn Loeffler ha curato la ricerca; “abbiamo scoperto un nuovo modo di assemblare la plastica che prende in considerazione il riciclaggio da una prospettiva molecolare”.
Avete presente i Lego? Ecco, la plastica può essere smontata, riassemblata e riutilizzata esattamente come i famosissimi mattoncini.
Quando il problema diventa “reversibile”
Con questa plastica riciclabile, chiamata PDK, i legami immutabili delle plastiche convenzionali possono essere sostituiti con legami reversibili.
A differenza delle plastiche convenzionali, infatti, con un processo a bagno acido, si abbattono i polimeri PDK in monomeri e si separano anche i monomeri dagli additivi intrecciati. I monomeri PDK recuperati possono essere trasformati in polimeri e quei polimeri riciclati possono formare nuovi materiali plastici senza ereditare il colore o altre caratteristiche del materiale originale, come la flessibilità.
I ricercatori sono convinti di riuscire così a incentivare il recupero e il riutilizzo della plastica e limitare finalmente i danni che stanno soffocando il nostro pianeta.
Verso un futuro di plastica “circolare”
Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Nature Chemistry, la nuova plastica potrebbe essere una buona alternativa a molte tra quelle oggi in uso. I ricercatori hanno intenzione di sviluppare la PDK con una vasta gamma di proprietà termiche e meccaniche per applicazioni diverse come tessile, stampa 3D e schiume. Inoltre, stanno cercando di espandere le formulazioni incorporando materiali a base vegetale e altre fonti sostenibili.
Ma la quantità di plastica è ancora in aumento
Brett Helms, uno scienziato dello staff presso Molecular Foundry di Berkeley Lab, si è detto preoccupato per lo scenario mondiale. “Siamo in un punto critico, in cui dobbiamo pensare alle infrastrutture necessarie per modernizzare le strutture di riciclaggio per il futuro smistamento e lavorazione dei rifiuti”. “Se queste strutture fossero progettate per riciclare o riciclare PDK e relative materie plastiche, saremmo in grado di deviare in modo più efficace la plastica dalle discariche e dagli oceani”.
Ora non resta che far tesoro di questo studio ed agire.