Una piattaforma per smartphone permetterà di fare beneficenza raggiungendo obbiettivi nei videogames. È il sogno di cinque ragazzi che vogliono coinvolgere nella loro chiamata alla solidarietà grandi aziende e amanti dei videogiochi
Salvare il mondo con un joypad in mano? Con i videogiochi, al momento è possibile solo salvare universi digitali e fanciulle virtuali ma, presto, con Ofree, potrebbe essere possibile iniziare davvero a cambiare le cose, facendo beneficenza. L’idea è venuta a Nicolò Santin, all’epoca dell’università: «La storia è davvero assurda – racconta a StartupItalia! – l’intuizione mi è venuta leggendo che il rapper sudcoreano PSY aveva ottenuto da YouTube oltre quattro miliardi di dollari per le visualizzazioni globali del suo video Gangnam Style. Di fronte a una cifra simile ho capito che si potesse coinvolgere il mondo in una impresa titanica analoga ma con finalità benefiche e che le persone sarebbero state più felici se la partecipazione avesse richiesto qualcosa di divertente, come giocare ai videogiochi».
Su quell’intuizione, Nicolò ha poi scritto una tesi, coinvolto altre quattro persone (età media: 28 anni, una si è appena dimessa dal proprio posto di lavoro per seguire a tempo pieno il progetto) e fondato Ofree, la startup che permetterà di donare soldi semplicemente videogiocando e senza nemmeno tirare fuori un euro. Le premesse sono ottime: Ofree si è piazzata prima in diverse competizioni, da Milano Startup Weekend a Startuppato senza dimenticare il riconoscimento portato a casa da Lean in EU Women Business Angel. Attualmente cerca finanziatori: «Abbiamo già coinvolto quattro aziende – ci racconta Nicolò – e una quinta, molto grande, dovrebbe aggiungersi: sono pronte a comparire sulla nostra piattaforma in altrettanti videogiochi, ma è essenziale trovare tanti finanziatori per fare massa critica».
Come funziona Ofree
Una volta a regime, questo “Play Store solidale” funzionerà così: l’utente tramite il proprio smartphone accederà a Ofree e scaricherà un videogame scegliendo tra quelli presenti negli scaffali virtuali. Selezionato il titolo, giocherà e guadagnerà monete virtuali che, a fine partita, potrà investire in determinati progetti benefici. Da chi arriva la pecunia? Non dal giocatore «che solitamente è squattrinato», scherza Nicolò, ma dall’azienda che sponsorizza il videogioco e che paga Ofree per essere nel suo store. Sì, perché tutti i videogiochi presenti nella libreria di Ofree saranno sponsorizzati. Per usare il termine tecnico, si tratterà di advergame: giochi un po’ diversi dal solito in cui è il marchio a essere al centro del concept. Facciamo un esempio: immaginate un gioco in cui, impugnando una carabina, bisogna colpire i barattoli posti su un muretto. Al posto dei soliti bersagli, le lattine presentano i loghi di bevande molto note. Ecco, questo è un advergame. Spesso, sono considerati titoli di serie B (se non inferiore) ma, se ben sviluppati e se lo sponsor non è troppo invadente, il risultato può essere di qualità.
«Con la diffusione degli smartphone, la platea dei videogiocatori si è allargata esponenzialmente», osserva Nicolò. «Un tempo videogiocavano esclusivamente adolescenti e maschi: oggi, anche in metropolitana, è possibile osservare signore di una certa età intente a coltivare verdura digitale o assorte ad allineare pile di caramelle colorate. Questo aspetto – conclude il fondatore di Ofree – fa sì che si possa coinvolgere nelle campagne di beneficenza una pluralità indeterminata di persone: si stima che, entro il 2020, i videogamers passeranno da 2 miliardi a 2 miliardi e seicentomila unità. Pensate a cosa significherebbe poter chiedere a ciascuno dei 2 miliardi di individui di divertirsi nel suo hobby preferito e, contemporaneamente, fare qualcosa di buono per tutti». «Del resto – osserva Nicolò – l’attività videoludica solitamente è vista come un hobby solitario: con Ofree, invece, anche se si è soli di fronte allo schermo del proprio smartphone ci si sente comunque parte di qualcosa».