La prima superwoman dello sport, quella che aprì la strada alle altre – a Sara Simeoni, a Valentina Vezzali, a Federica Pellegrini, per dire alle regine inchiodate nell’immaginario sportivo – portava un nome che più grazioso e leggero non si può: Ondina. Per la verità il papà, Gaetano Valla, a cui finalmente la femmina sognata dopo quattro maschi era arrivata – il 20 maggio 1916 -, l’aveva chiamata Trebisonda, come l’ex città imperiale della Turchia. Trebisonda cresceva e diventava un fenomeno, qualunque specialità corresse ci metteva sopra, da numero uno, quel suo nome forte: 100 metri, 80 metri a ostacoli, salto in lungo, salto in alto, quando ancora lo si faceva scavalcando con le gambe l’asticella e non buttandosi di schiena. Vinceva tutto, anche fino a tre gare al giorno. A 12 anni, Trebisonda correva per i colori della sua scuola, la Muzzi di Bologna, a 14 anni vinceva già i Campionati italiani assoluti, a 15 veniva convocata in Nazionale. Ma quel nome lì era un peso troppo grande da portare per chi doveva correre e volare via leggera: i suoi allenatori cominciarono così a chiamarla Ondina! E Ondina volò.
A 16 anni Ondina Valla prese contatto con la carica in qualche modo eversiva delle sue lunghe e sveltissime gambe: era quasi sulla nave diretta a Los Angeles, destinazione Giochi Olimpici 1932, quando improvvisamente il Vaticano fece pressioni per tenerla a casa, poiché una ragazza sedicenne in un lungo viaggio intercontinentale con solo atleti maschi rappresentava una sconvenienza che neanche una cascata di medaglie d’oro avrebbe potuto ripulire. Ondina, che rispettava le regole, rispettò pure la più ingrata, e del resto erano tempi in cui il Presidente del Coni, Achille Starace, sosteneva di “essere sempre stato del parere che la donna debba essere eliminata dallo sport agonistico”. E Renato Ricci, capo dell’Opera nazionale balilla: «Mi sembra ridicolo che a difendere i colori di una Nazione, potente e civile come la nostra, debba essere chiamato di tanto in tanto un gruppo di donne più o meno interessanti e intelligenti».
Prima italiana a vincere un Oro olimpico
Valla ricominciò daccapo, puntando alle Olimpiadi di Berlino di quattro anni dopo, quelle che sarebbero diventate le Olimpiadi del Führer e della sua propaganda. Si allenava duro in pista da aprile a ottobre, d’inverno invece nuotando in piscina, lei che lo poteva fare perché a Bologna, dove viveva, almeno la piscina c’era. I mezzi erano quelli, semplici e crudi: prima della gara, una zolletta di zucchero che era stata prima affondata nel cognac diventava il miglior energizzante.
Berlino 1936 non era Los Angeles, di mezzo non c’era l’Oceano, ma bastava scavallare le Alpi, e così Ondina Valla, alle 17 del 6 agosto scese sulle pista delle sue prime Olimpiadi, che – se lo sentiva – l’avrebbe incoronata regina del mondo sugli 80 metri a ostacoli. “La vittoria ce l’avevo dentro e quando mi hanno consegnato il numero di pettorale, il 343, ho detto: vinco io. 3 più 4 fa 7, più 3 fa 10, lo zero non conta niente e rimane l’1”. Vinse con il tempo di 11”7, mentre il giorno prima aveva eguagliato il record del mondo di 11”6. Ondina divenne l’orgoglio della patria, l’emblema della grandezza italiana, l’icona di un’intera nazione.
Non chiamiamola rivoluzionaria
Ondina era pragmatica. Metteva in fila per bene le cose. Infilò uno via l’altro 17 titoli nazionali assoluti, 23 primati italiani e quel primo Oro olimpico di un’italiana, ma poi la guerra mondiale le spense i motori. Divenne allenatrice. “Allo sport ho lasciato le cartilagini delle ginocchia”, raccontò, e quando si affidò a un medico per curarle – l’ortopedico Guglielmo De Lucchi – se innamorò e lo sposò.
Ondina Valla non è stata una rivoluzionaria, perché non cercava il cambiamento, eppure finì per cambiare tutto: fu la prima a portare il suo corpo oltre i limiti conosciuti e a essere riconosciuta per questo, diventando dunque lei l’antenata assoluta di Simeoni, Vezzali, Pellegrini e delle ora tante regine del nostro sport. Ondina Valla fu una donna nuova perché frantumò le gabbie mentali degli italiani: nessuna persona sapeva, prima che arrivasse questa ragazza dalle gambe a razzo, che una donna atleta potesse essere fisicamente e mentalmente così forte e che potesse raggiungere certe altezze agonistiche, proprio come facevano gli uomini. Il suo oro, per questo, brilla forte ancora.
Photo credit: http://www.ondinavalla.it/