Abbiamo raggiunto l’avvocato ligure Giovanni Maria Ferrando per capire cosa nascondano le carte, quali tutele diano al Gruppo e quali margini di manovra consentano a Conte, Salvini e Di Maio in caso di rescissione unilaterale
Non sono bastate le rassicurazioni dei vertici di Autostrade per l’Italia circa la ricostruzione di un nuovo ponte Morandi entro otto mesi e lo stanziamento immediato di un fondo per vittime e sfollati da 500 milioni di euro a fare rientrare la crisi tra il Gruppo, controllato dalla famiglia Benetton, e l’esecutivo guidato dal premier Giuseppe Conte e dai vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il governo, infatti, tira dritto per la sua strada e ha già avviato l’iter per il ritiro della revoca senza aspettare l’accertamento di eventuali responsabilità sul crollo del viadotto genovese che verrà compiuto dalla magistratura. Ma può davvero farlo? E a quali condizioni?
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Cosa sappiamo sulla concessione ad Autostrade
Prima di passare la parola all’avvocato ligure Giovanni Maria Ferrando, del Foro di Imperia (che quel ponte venuto giù all’improvviso lo conosceva bene e lo ha percorso centinaia di volte), per comprendere cosa nascondano le carte, quali tutele diano al Gruppo che il Governo intende sfrattare e quali margini di manovra consentano a Conte, Salvini e Di Maio in caso di rescissione, è necessario però ricordare alcuni punti fermi della questione e chiarire altri su cui è stata fatta parecchia confusione.
1. Storia di una privatizzazione fatta velocemente e male
Oltre dieci anni prima della Convenzione del 2007 oggi in discussione, stipulata tra Autostrade per l’Italia e l’Anas in pieno esecutivo Prodi II, tra il 1996 e il 1997 sempre Romano Prodi alla sua prima esperienza di governo dopo aver indossato le vesti del presidente dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (la “cassaforte” statale contenente tutte le partecipazioni pubbliche ai gioielli di famiglia del Paese) procede con la privatizzazione di Autostrade che all’IRI era appartenuta. Il governo ha un disperato bisogno di mettere soldi in cassa e fa proprio il detto popolare: “meglio pochi, maledetti e subito che un pugno di mosche”. Per questo, temendo di non trovare capitani coraggiosi, indora la pillola: l’adeguamento venturo delle tariffe è tutto a favore del gestore che si farà avanti e i termini iniziali della concessione vengono quasi immediatamente prorogati dal 2018 al 2038.
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Entrambe queste scelte vengono contestate sia dalla Corte dei Conti, che fiuta il danno per l’erario, sia dall’Unione europea, che vi intravede invece la concorrenza sleale degli aiuti di stato. Per alcuni analisti la scelta fu necessaria per ridare parziale ossigeno a un Paese in affanno in cui, soltanto quattro anni prima, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992, l’allora premier Giuliano Amato aveva dovuto ricorrere al famigerato prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani pur di aggiustare un po’ i bilanci e farci entrare in Europa. Ciascuno si farà la propria idea in base ai numeri e ai dati che elencheremo di seguito, ma è comunque evidente – perché su questo tutti gli osservatori concordano – che il regime contrattuale fosse stilato a favore della parte privata e a discapito dello Stato.
2. Il documento firmato nel 2007
Il contratto originario, ovvero la Convenzione unica, è stato firmato il 12 ottobre 2007, sotto l’allora governo Prodi bis e subito parzialmente coperto dal segreto di Stato. Sebbene il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, qualche giorno fa e in più occasioni abbia dichiarato di essere intenzionato a rimuovere gli omissis dal testo, tale operazione era già stata compiuta dal precedente governo Gentiloni e le carte sono reperibili sul sito del suo Ministero dello Sviluppo Economico dallo scorso 2 febbraio (qui, per esempio, i link alle singole convenzioni) anche se mancherebbero i crono-programmi e l’elenco di opere da realizzare. Naturalmente vi invitiamo ad approfittarne e a scaricare i vari documenti per poter approfondire l’argomento, che presenta molte diramazioni che qui non avremo modo di trattare.
Poco meno della metà della rete autostradale data ad Autostrade
La Convenzione unica, stipulata tra la società Autostrade per l’Italia e l’Anas (cui poi è subentrato il Ministero dei Trasporti) è diventata efficace l’8 giugno 2008 e prevedeva in origine una durata fino al 31 dicembre 2038. In base al documento, dell’intera rete autostradale italiana, 6.668 chilometri in tutto, poco meno della metà ovvero 2.854, sono stati dati in gestione ad Autostrade per l’Italia. Il gestore riscuote i pedaggi ma ha l’onere di investire sulla rete e compiere la manutenzione secondo non solo le modalità previste dal contratto ma anche quelle richieste dalla legge. Nei circa 3mila chilometri presi in gestione da Autostrade per l’Italia, società controllata da Atlantia, rientrano anche l’A10 e il ponte Morandi caduto lo scorso 14 agosto provocando 43 morti.
Data la natura delle parti (da un lato un soggetto di diritto amministrativo, lo Stato, dall’altro una società privata di diritto privato), la Convenzione ha per così dire natura spuria. Ma questi sono profili molto tecnici nei quali non è necessario addentrarsi ulteriormente. Basti sapere che, rispetto a un contratto stipulato tra due parti private (per esempio, per la vendita di un bene mobile), la Convenzione può essere regolamentata sia dalle norme del Codice Civile sia attraverso l’iter amministrativo. Aspetto che può complicare la ventura controversia tra governo e Autostrade per l’Italia.
3. Il “salva Benetton” di Berlusconi firmato anche da Salvini?
Tra la Concessione e la sua proroga c’è un altro atto normativo che merita di essere ricordato. Nel 2008 il governo Berlusconi firma infatti un decreto che, visti i suoi contenuti, viene immediatamente ribattezzato “salva Benetton”. Si tratta del dl convertito con modifiche dalla L. 6 giugno 2008, n. 101 (in G.U. 07/06/2008, n.132), per mezzo del quale si stabilisce che l’adeguamento automatico delle tariffe sarà pari al 70 % dell’inflazione reale da sommarsi alla remunerazione degli investimenti già promessi dallo Stato con in più la possibilità, per Autostrade per l’Italia, di fare propri eventuali ricavi superiori alle previsioni in caso di maggior traffico. Secondo quanto riporta l’esponente Dem Debora Serracchiani, anche Salvini, oggi in aperto contrasto col Gruppo, all’epoca votò il “Salva Benetton”. E il suo nome in effetti è riportato tra gli onorevoli favorevoli al decreto dal sito OpenPolis.
4. La proroga che ha allungato i termini fino al 2042
Come è stato detto, inizialmente la Convenzione sarebbe dovuta durare fino al 2038. Lo scorso aprile, il passato esecutivo Gentiloni è però intervenuto prorogando la concessione di quattro anni con nuova scadenza fissata al 2042. Per procedere con la firma, però, il governo italiano ha dovuto prima ottenere l’ok da Bruxelles che vigila sulla possibilità che tali accordi nascondano aiuti di Stato ad aziende private, vietati dai Trattati. La Commissione ha dato il via libera a fronte della richiesta, da parte del nostro Stato indirizzata al Gruppo che ha la concessione, di sbloccare investimenti per altre opere (tra cui la controversa Gronda di Genova) e di applicare tariffari calmierati.
Più tempo in cambio di un minor guadagno, con l’ok di Bruxelles
Andando nel tecnico, la Commissione ha accolto la proposta del precedente governo di fissare un tetto agli aumenti pari al tasso di inflazione misurata dall’Istat maggiorato dello 0,5% a partire dal 2019 così da ottenere, nel periodo 2018-2027, un incremento del 24% rispetto a quello previsto in origine del 46%. Inoltre, se con una mano il governo italiano ha agevolato Autostrade per l’Italia concedendole più tempo per fare affari con la gestione della rete autostradale, con l’altra ha imposto di fissare il rendimento per i mancati ricavi e per il capitale investito: un rendimento nominale prima delle tasse del 6-8% per i “vecchi investimenti” e del 4-6% per gli altri interventi pianificati nel quinquennio 2017 – 2022 pari a 2,49 miliardi di euro.
In soldoni, la stretta sugli aumenti dei pedaggi si traduce, per Autostrade per l’Italia in mano ai Benetton in mancati ricavi per 8-10 miliardi di euro e si è introdotto il valore di subentro fino a 1,6 volte l’Ebitda (tra i 5 e i 7 miliardi). Insomma, probabilmente la società per azioni resta la parte che trae maggiori vantaggi dalle condizioni contrattuali, ma quello varato pochi mesi fa sembra essere il primo intervento volto a riequilibrare (non sta a noi dire in quale misura, ciascuno si farà la propria idea) i rapporti con lo Stato a favore di quest’ultimo.
5. Il botta e risposta tra Salvini e Bruxelles
Nemmeno la drammatica vicenda di Genova poteva evitare di produrre gli immancabili strascichi velenosi con l’Unione europea. Il vicepremier Salvini punta subito il dito verso l’Europa: “Il crollo è colpa dell’austerità”, sentenzia. La risposta di Bruxelles non si fa attendere: “L’Italia – replica la Commissione – è uno dei principali beneficiari della flessibilità all’interno del patto di stabilità e crescita”. Quindi si aggiunge che: “Secondo le regole fiscali concordate, gli Stati membri sono liberi di stabilire priorità politiche specifiche, ad esempio lo sviluppo e la manutenzione delle infrastrutture e l’Ue ha incoraggiato gli investimenti in infrastrutture in Italia”. Non solo, perché l’Unione europea coglie l’occasione per ricordare al Governo italiano che è stato approvato un piano comunitario da “2,5 miliardi di euro nel periodo 2014-2020 in fondi strutturali e di investimento europei per infrastrutture di rete, come strade o ferrovie”, tra cui, si sottolinea, un fondo aggiuntivo che “consentirà di portare avanti circa 8,5 miliardi di euro di investimenti, anche in Liguria”, con riferimento alla Gronda su cui per vent’anni la discussione politica interna si è invece avvitata.
6. Lo strappo del Governo (e alcuni errori di Di Maio)
E veniamo adesso alla storia recente. Che l’esecutivo fosse intenzionato a stracciare la Convenzione è stato reso noto subito dopo il crollo del Ponte Morandi. Il 15 agosto alle 9:24 il Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, scrive su Facebook: “Autostrade doveva fare la manutenzione e non l’ha fatta. Incassa i pedaggi più alti d’Europa e paga tasse bassissime, peraltro in Lussemburgo. Bisogna ritirare le concessioni e far pagare le multe. Il ministro Danilo Toninelli ha già avviato le procedure per il ritiro della concessione e per comminare le multe”. In realtà, è sufficiente andare nella pagina “storia del gruppo” della controparte per rendersi conto che quanto riferisce il vicepremier non è esatto: l’azionista di maggioranza di Atlantia tramite cui la holding della famiglia Benetton, Edizione Srl, controlla Autostrade per l’Italia è Sintonia Spa, ed è italiana, ha la propria sede in Italia e paga le tasse in Italia. Parzialmente errato anche che quelli italiani siano “i pedaggi più alti d’Europa”: secondo uno studio dell’Università La Sapienza i più cari sono i francesi, ma l’Italia viene comunque subito dopo. Anche qui, ciascuno si farà la propria idea.
La risposta di Atlantia
La risposta del Gruppo giunge solo il giorno seguente, dopo pesanti perdite in Borsa che smagriscono il titolo di un quarto del suo valore: “Autostrade per l’Italia dichiara che i manager e tutti gli uomini e le donne del gruppo sono i primi interessati alla ricerca della verità sulla tragedia del viadotto Polcevera di Genova e con questo obiettivo stanno collaborando attivamente con le autorità competenti. Se dagli approfondimenti interni già avviati o dalle inchieste delle autorità competenti, anche a prescindere da profili penali, dovessero emergere responsabilità di manager, funzionari o tecnici dell’azienda, Autostrade per l’Italia adotterà in modo rigoroso i provvedimenti conseguenti”. Insomma, la società non intende arretrare di un solo centimetro e sostiene di essere tutelata dalla Convenzione unica che le garantirebbe, in caso di risoluzione unilaterale operata dal governo, l’incasso degli utili previsti fino al 2042, ovvero circa 20 miliardi. Ma è davvero così?
7. Cosa può fare il governo ora?
Nonostante l’esecutivo, per bocca sia del Presidente del Consiglio Conte, sia dei vicepremier, abbia in più occasioni manifestato l’intenzione di procedere speditamente, senza attendere i tempi della magistratura, convinto che l’inadempimento di Autostrade per l’Italia sia manifesto e in re ipsa, vale a dire già ampiamente provato dal crollo del Ponte Morandi, appare comunque chiaro a tutti che non si può fare coriandoli di un contratto e cambiare gli accordi dall’oggi al domani. Si rischia infatti di incorrere in precise responsabilità contrattuali.
Non sarà facile chiarire se ci sono colpe (non solo penali, anche contrattuali) e in merito la magistratura indagherà a lungo, analizzando perizie e controperizie. Saltare questo passaggio potrebbe esporre lo Stato – e quindi i contribuenti – a pesanti richieste di risarcimento da parte del Gruppo Benetton. Difronte al Governo la via è tutt’altro che libera e si presenta come un ginepraio giuridico. Ci aiuta a fare un po’ di chiarezza l’avvocato Giovanni Maria Ferrando del Foro di Imperia, che era peraltro solito attraversare il ponte Morandi tutte le volte che si recava al Palazzo di Giustizia di Genova.
8. Le risposte del legale: possibile procedere subito
“Innanzitutto – spiega l’avvocato Ferrando – direi che per accertare la colpa ed eventualmente procedere alla revoca della concessione non bisogna aspettare la sentenza dei magistrati penali infatti i due procedimenti (civile/amministrativo e penale) sono autonomi, potrebbe non esserci alcun reato ma avere un inadempimento da parte del concessionario; bisognerà quindi analizzare come si sia comportato il concessionario nell’adempimento della concessione”.