Sviluppato da ALPixel Games, lo abbiamo testato per Xbox Series X/S
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A Place for the Unwilling, da Madrid la versione indie di Don’t Look Up
Nel titolo della nostra recensione di A Place for The Unwilling per Xbox Series X/S abbiamo fatto riferimento a uno degli ultimi film, già cult, comparsi su Netflix. Dont’Look Up è una pellicola che ha diviso in due il pubblico: da una parte quelli che hanno percepito una sensazione di angoscia crescente di fronte all’imminente fine del mondo che incombe sull’umanità; dall’altra alcuni si sono soffermati di più sull’esasperazione tragicomica di certi personaggi. Prima che però uscisse il film, una piccola software house di Madrid, ALPixel Games, aveva già pubblicato su Stadia un prodotto intrigante e dalla cura grafica sorprendente, che da un certo punto di vista richiama al terrore di fronte all’ineluttabile. Finalmente il titolo è disponibile anche sulla next gen di Xbox. In questo caso però non sfilano presidenti egocentrici o visionari ai limiti della follia disposti a tutto pur di salvarsi: nella città che andremo ad esplorare viventi e inquietanti ombre convivono nel tempo che resta. Tutto e tutti sono destinati a morire nel giro di appena 21 giorni.
L’incipit di A Place for the Unwilling è inquietante. Il protagonista riceve una scioccante lettera da uno dei suoi più cari amici di infanzia: in poche righe scopre di doverne raccogliere la pesante eredità (casa, attività commerciale e cura della famiglia), dal momento che l’uomo ha deciso di togliersi la vita. «A Place for the Unwilling è stato concepito come un gioco d’avventura ambientato in una città vittoriana – diceva il narrative designer Luis Díaz -. È fortemente incentrato sulla sperimentazione della narrativa e delle meccaniche, evitando i dogmi del design con cui non eravamo d’accordo. Prendete quel concetto e aggiungete al mix Lovecraft, Le città invisibili di Calvino e Over the Garden Wall».
Cosi ha inizio un’avventura narrativa in visuale isometrica, nella quale dovremo avventurarci in una città avvolta dalla nebbia e abitata da figure misteriose, le cui sembianze non si possono nemmeno distinguere. Come se i creativi le abbiano prima disegnate e poi cancellate calcando molto con la matita. Nella lettera d’addio il nostro amico è stato chiaro in merito: queste ombre possono essere nemici, ma anche alleati. Tutto dipenderà dalle nostre scelte. Ecco, le nostre scelte: il videogioco prosegue in base a cosa decideremo di fare e di dire, giorno dopo giorno.
Disponibile in inglese, A Place for the Unwilling rappresenta una piacevole scoperta per chi adora le atmosfere ottocentesche e i romanzi di Charles Dickens. Nel corso delle nostre giornate avremo una lista di cose da fare: il tempo scorre e mano a mano faremo luce sui fatti di una città che non è come sembra. I primi umani sembrano amichevoli e aperti nei nostri confronti. Ma basta fare un salto in edicola il primo giorno per capire che siamo sulla bocca di tutti: lo straniero è arrivato in città, titola la prima pagina.
Informarsi e parlare con gli altri è fondamentale per proseguire e gustarsi l’intera esperienza in A Place for the Unwilling. La mappa ci dà fin da subito la possibilità di camminare nei vari quartieri della città, dove possiamo andare senza alcun ostacolo. L’aspetto che più ci ha convinto del videogioco è che non esiste una linea da seguire: c’è sì una lista di obiettivi, ma possiamo anche fare dell’altro esplorando i dintorni e attivando linee di dialogo con gli sconosciuti, per capire se hanno qualcosa da dirci.
Il comparto grafico è quello dove il team di Madrid ha ottenuto il massimo dai propri sforzi. La città è ricca di dettagli, così come gli interni delle case, dove oggetti e elementi di arredo hanno più volte attirato la nostra attenzione. Qualche bug c’è, ad esempio nello sfoglio del giornale mattutino. Nel complesso, tuttavia, A Place for the Unwilling ci ricorda l’importanza di monitorare l’effervescente ecosistema indie del mondo videogiochi. Dal quale spesso emergono prodotti originali, con una bella storia da raccontare.
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