Opportunità di lavoro non mancano. Le interviste a Geoffrey Davis, Direttore Generale di Digital Bros Game Academy, e Matteo Sciutteri, Core Trainer del corso di Game Design
«In Italia l’industria videoludica conta un centinaio di aziende. Tra dipendenti e collaboratori siamo circa 1500 professionisti». Può sembrare un granello di sabbia quello presentato da Matteo Sciutteri, Core Trainer del corso di Game Design della Digital Bros Game Academy di Milano, Lead Designer e CEO dello studio di sviluppo Runeheads, eppure il mercato di riferimento è quello che lo scorso anno, in tutto il mondo, ha generato un giro d’affari da quasi 40 miliardi di dollari. Il gaming è esploso durante il lockdown. Le vendite di Nintendo, complice anche il successo planetario di Animal Crossing: New Horizons, sono balzate (il primo semestre si è chiuso con oltre il 70% di vendite rispetto al 2019) e nel frattempo Microsoft e Sony hanno battezzato la next gen con PS5 e Xbox Series X/S. Di fronte a questo scenario che evolve e cresce, quali sono le opportunità per studenti appena usciti dal liceo o laureati? «Non esiste un percorso obbligatorio per lavorare nel mondo gaming – ha premesso Sciutteri – il 3D artist o il programmatore sono lavori molto diversi fra loro. La prima cosa da capire è quale strada percorrere. Tutto sta poi nell’eterogeneità del team. Alla Digital Bros Game Academy chi ha studiato cinema lavora alla grande insieme a un ingegnere».
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Gaming, la formazione del team
«Un progetto moderno di videogioco richiede lavoro su quattro macro aree dominanti, che abbiamo inserito nella nostra Academy – ha argomentato Sciutteri – Sono game design, game programming, concept art e game art 3D. Il lavoro del programmatore è senz’altro fondamentale nel gaming. Ma non si può prescindere dai game designer che si occupano della progettazione del gioco, dai concept artist per dare una visione estetica, lavorare sui colori e sulle sensazioni da trasmettere al videogiocatore; e neppure si può fare a meno dei 3D artist, che prendono queste sensazioni e le traducono in asset 3D. Il paragone più immediato che si può fare è con il mondo del cinema: anche nel gaming è cruciale l’eterogeneità della squadra».
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In smart working da sempre
La pandemia ha accelerato la transizione verso modalità di lavoro ibrido, facendo ricredere aziende grandi e piccole sulla necessità che per raggiungere gli obiettivi occorra avere per forza dipendenti e collaboratori sotto lo stesso tetto dal lunedì al venerdì. Lo choc non ha invece trovato impreparate le software house, abituate da sempre a collaborazioni che mettono insieme sullo stesso progetto professionisti da ogni angolo del pianeta. «Faccio l’esempio di Kunos Simulazioni – ha aggiunto il Direttore Generale della Digital Bros Game Academy, Geoffrey Davis, riferendosi alla software house italiana che ha sviluppato un gioiello come Assetto Corsa – l’Headquarter dello studio è a Vallelunga, dove risiede il famoso circuito, ma i membri del team lavorano per lo più da remoto». Quello che vale per lo smart working nel gaming, vale allo stesso modo per i percorsi di formazione, al punto che la DBGA ha ampliato la propria offerta formativa e lanciato la DBGA Online Blended, per offrire una esperienza online dedicata a chi vuole acquisire le competenze necessarie per lavorare in questo promettente settore dell’intrattenimento. Trovandosi la Lombardia in zona rossa, al momento tutte le lezioni si tengono comunque da remoto.
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Dove cercare lavoro: tripla A o studio indipendente?
Tra i miti da sfatare attorno al mondo gaming c’è anche quello secondo il quale bisognerebbe per forza essere un nerd fin dalla nascita, con competenze già acquisite nel campo del coding o dell’ingegneria informatica. «La maggior parte dei nostri studenti arrivano senza esperienze pregresse – ha spiegato il Direttore Generale – seguiamo tre tipi di profili differenti: ragazzi e ragazze appena usciti dalle superiori; laureati di ogni tipo che voglio specializzarsi; e infine persone più adulte che intendono rimettersi in gioco». Alla fine del percorso di formazione c’è un tasso di placement del 74% e alcuni studenti hanno già un contratto ancora prima di terminare.
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Con un’offerta italiana e soprattutto estera così interessante dal punto di vista delle posizioni ricercate dalle software house, come dovrebbe orientarsi uno sviluppatore in erba? Meglio Naughty Dog, oppure farsi le ossa in uno studio indipendente? «Anzitutto le realtà indie sono tantissime, molti di più delle aziende tripla A, dove possono lavorare anche 3mila persone – ha detto Sciutteri – La differenza sta tutta nei talenti del singolo studente: in un team piccolo hai bisogno di essere più eclettico e sperimentare più rami del game design, ad esempio. Se invece opti per un’azienda grossa ci si focalizzerà su un unica branca. Quando sei davvero forte e specializzato in qualcosa, allora sei portato a lavorare in un’azienda consolidata; chi invece è molto bravo a saltare da un sotto argomento all’altro può senz’altro esprimersi al meglio in una realtà indie, dove comunque ci si mette di più in gioco e i progetti cambiano alla svelta».
Creativi sì. Ma occhio al business
Infine uno degli aspetti più importanti da assorbire non appena si decide di intraprendere la carriera dello sviluppatore o del professionista nel mondo gaming è l’importanza del business. Ovvero: un progetto videoludico, dunque votato all’intrattenimento, deve essere fatto principalmente per essere venduto. «Per vent’anni ho lavorato in finanza – ha concluso Davis – e non vedo alcuna differenza tra i due ambiti».