Scienziata, schermitrice, scrittrice di gialli, impegnata in ogni ambito della vita a rimettere in luce le donne. La BBC l’ha inserita tra le cento donne che più di tutte stanno provando a guidarci fuori dalla pandemia. Alle giovani ricercatrici dice di “non mollare però anche di pretendere il giusto”
Sono tanti i temi che possono essere toccati, nel corso di un’intervista con Adriana Albini. Scienziata a 360 gradi, ma non solo. Anche schermitrice e scrittrice di gialli. “Il tempo me lo ritaglio: basta saper organizzarsi”. Oltre che impegnata in ogni ambito della vita a rimettere in luce le donne. Al punto da dire che “se le donne fossero state maggiormente coinvolte nella gestione della pandemia, oggi l’Italia sarebbe più avanti di quello che è nello sconfiggerla”.
L’impegno per le donne nella ricerca
Le giornate di Albini – 65 anni e una vita iniziata a Venezia e proseguita prima a Genova, poi a Reggio Emilia, passando da Germania e Stati Uniti: fino a Milano, dove è docente universitaria (insegna patologia generale all’Università di Milano-Bicocca) e ricercatrice (dirige il laboratorio di biologia vascolare dell’Irccs MultiMedica di Sesto San Giovanni) – sono lunghe. Lunghissime. Iniziano molto presto e finiscono soltanto dopo aver smarcato tutti gli impegni previsti. L’intervista è un’occasione per fermarsi e riordinare le idee. Si parte dal premio. “Evidentemente l’impegno in campo scientifico e politico-sociale è più riconosciuto all’estero che in Italia. Ogni giorno cerco di spiegare l’oncologia e gli studi in questo campo. Allo stesso tempo, mi impegno per aumentare la sensibilità sulla rappresentanza femminile nella ricerca”.
Una responsabilità, per Albini, concretizzatasi con la nascita dell’associazione Top Italian Women Scientists di Onda (Osservatorio Nazionale Salute Donna e di Genere), che punta a rappresentare le donne più citate nella ricerca in campo biomedico. Comprese le immunologhe e le virologhe. “Ce ne sono di eccellenti in Italia, eppure le si vede comparire molto di rado. Le ricercatrici sono tante. O meglio: partono in tante, ma poi al vertice arrivano pochissime di loro. Il problema è questo. Al di là del curriculum, nelle posizioni apicali arrivano prima gli uomini”. Le eccezioni? “Esistono, ma se sono ancora tali, vuol dire che il problema c’è. E oggi è probabilmente più presente rispetto al passato”.
Quote rosa senza alternativa
L’impegno, in questo senso, è cresciuto negli ultimi mesi. “Su 100 persone che hanno perso il lavoro durante la pandemia, 98 sono donne”, precisa la scienziata. Secondo cui le motivazioni di questo disastro sociale sono la fotografia più chiara del divario di genere. La gestione famigliare in capo (perlopiù) alle mamme e gli stipendi più bassi (a parità di mansioni) portano le donne ad abdicare rispetto al lavoro, nei momenti di difficoltà. Se a ciò ci si aggiunge il taglio dei posti determinato dall’emergenza sanitaria, il dato è tratto.
“Serve più riconoscimento per la figura femminile e i primi a dover fare qualcosa sono gli uomini. Al momento non abbiamo alternative alle quote rosa, per esigere la giusta rappresentanza nei consessi in cui si prendono le decisioni. Ma è chiaro che ne potremmo fare a meno, se le donne non partissero da una situazione di disagio”. Da qui anche l’impegno attraverso la stesura del manifesto #Equalpanel, un progetto nato dalla European Womens Management Development (EWMD), di cui anche Albini fa parte. Un gruppo di donne che, forti della loro esperienza personale e professionale, hanno deciso di agire in modo chiaro e concreto per promuovere la parità di genere, a favore di una maggiore inclusione femminile nel mondo degli eventi pubblici.
“Giovani ricercatrici, non mollate”
La passione civile si fonde con quella per la scienza. A maggior ragione di questi tempi. “Per fortuna ho i figli grandi, perché non so come avrei reagito al carico a cui sono state esposte le colleghe più giovani. Da un anno a questa parte, il lavoro per chi si occupa di ricerca biomedica è aumentato. Anche chi prima non lavorava direttamente sulle malattie infettive, si è messo all’opera per fornire il proprio contributo alla ricerca su Covid-19. Personalmente, studio l’infiammazione e il ruolo degli antinfiammatori endogeni o di origine naturale nelle malattie oncologiche e cardiologiche. Queste cognizioni sono importantissime anche per comprendere a fondo il meccanismo di azione di Sars-Cov-2″.
Di buono, alla ricerca, la pandemia ha portato “l’interdisciplinarietà della cultura scientifica”. L’attualità ha reso più difficile il percorso delle donne, in ambito scientifico. Ma Albini, forte della sua carriera, non può invitarle a mollare. “A chi ha voglia di fare questo lavoro, consiglio di provarci con grande perseveranza. Uscire tutti i giorni da casa per portare a termine quello che è sempre stato il lavoro desiderato è la chiave per superare anche i momenti più difficili, come questo. Alle donne dico però anche di pretendere il giusto: la verità, le promozioni, i riconoscimenti. E di non farsi sopraffare. Nei giovani di oggi ho fiducia, li vedo comunque pronti ad affrontare le tante difficoltà che hanno di fronte”.
L’impatto (preoccupante) della pandemia sulle malattie oncologiche
Mezz’ora densa di contenuti, tra cui quelli di una vita: la ricerca, la lotta ai tumori, la promozione della salute. Temi anche questi caldi, seppur passati in secondo piano rispetto alla pandemia. “La ricerca clinica, quella che prevede il coinvolgimento dei pazienti, è andata avanti a singhiozzo durante la pandemia. Ma quello che mi preoccupa è soprattutto l’impatto sulle malattie oncologiche – evidenzia la scienziata, prima italiana eletta nel direttivo dell’American Association for Cancer Research (una delle più antiche e prestigiose associazioni oncologiche mondiali. Il ritardo negli screening e negli studi clinici, riportato da alcune riviste internazionali, e il peggioramento degli stili di vita, con difficoltà a svolgere sport per esempio, e a mangiare di più e peggio durante il lock-down, potrebbero determinare nei prossimi anni una recrudescenza nei numeri”. Un effetto indiretto della pandemia, che rischia di lasciare il segno. “Abbiamo fatto grandi progressi in alcune neoplasie, come seno, prostata e colon. Mentre abbiamo ancora delle emergenze da fronteggiare per allungare le aspettative di vita: penso ai tumori del polmone, del pancreas, dell’esofago e del fegato”. È il momento di accelerare. “L’obbiettivo è quello di sviluppare nuovi farmaci più efficaci, sia in oncologia che in immunologia, che potrebbero in futuro essere necessari per una platea anche più ampia di pazienti, ma soprattutto lavorare per la prevenzione, che tra l’altro è il mio campo di ricerca”.