Sapevate che le Emoji sono nate dalla fantasaa di un fisico? E oggi chi decide quali faccine entrano a far parte del linguaggio?
Temo che la mia età si possa indovinare dal mio totale disinteresse per gli emoji. Spesso li trovo di difficile comprensione e mi chiedo cosa mai vorranno significare. Confesso che non ho mai neanche utilizzato gli emoticon. Ricordo la mia sorpresa quando nelle mail hanno iniziato a comparire combinazioni di punteggiatura, tipo 🙂 o il suo contrario 🙁 .
Forse, se avessi saputo che erano il frutto della fantasia di un fisico in vena di scherzi, che aveva raccomandato di leggere la combinazione inclinando la testa, avrei cercato di apprezzarli, almeno per spirito di corpo. Certo, è un modo rapido di esprimere stati d’animo di fronte a qualche cosa, ma proprio non mi sono mai piaciuti. Decisamente più simpatici erano gli Smiley, inventati 20 anni prima degli emoticon da Harley Ball, un genio della grafica che si dimenticò di depositare il marchio, che divenne simbolo di una generazione grazie alla semplicissima rappresentazione di uno stato d’animo positivo.
Ovviamente, il mondo è andato avanti senza di me, e gli emoticon si sono fusi con i manga giapponesi e sono nati gli emoji e le faccine si sono moltiplicate ma in parallelo sono apparse intere classi di emoji dedicati al cibo, alle piante, alla gestualità, agli animali, al lavoro, allo sport, alle feste.
La grande scelta non mi è di nessun auto per decifrare il significato di un particolare emoji.
Appena mi sembra di essere riuscita a capire il messaggio di una faccina (con una lacrima, una nuvoletta, un cuoricino) ne spunta una nuova, mai vista prima.
Da dove vengono? Chi decide quali emoji sono destinati a entrare a fare parte del nostro linguaggio?
Sconosciuto a quasi tutti, il guardiano degli emoji è lo Unicode consortium che, in effetti, ha uno scopo molto più vasto perché si occupa della codifica di ogni tipo di carattere in ogni lingua per ogni sistema operativo. Se volete toccare con mano l’enormità del campito date un occhio alla lista dei linguaggi coperti che risultano in 150.000 caratteri ad ognuno dei quali deve essere assegnato un codice univoco.
Davanti a questi numeri, gestire qualche migliaia di emoji potrebbe sembrare uno scherzo, ma non è così.
Il compito è tutt’altro che semplice perché gli emoji sono una nuova lingua non verbale ma universale e devono rappresentare i loro utilizzatori ed evolvere insieme a loro. Nuovi emoji devono essere aggiunti e le scelte devono essere transculturali, comprensibili da tutti (evidentemente più bravi di me) ma anche rispettose di tutte le culture. Un determinato emoji può essere interpretato in modo diverso da persone di diverse nazionalità, e si possono riscontrare differenze anche all’interno della stessa nazione per diverse fasce d’età, ma non deve mai risultare offensivo né discriminatorio.
Questo spiega la ragione di esistere di un Unicode Emoji subcommittee che deve esaminare tutte le proposte arrivate al sito e decidere quali prendere in considerazione. Le scelte devono sempre essere ragionate e mi fa piacere che siano nella capaci mani di Jennifer Daniel, la prima donna a capo dello emoji subcommittee.
Jennifer coordina un gruppo di volontari che si riuniscono due volte alla settimana per discutere delle proposte, spesso chiedendo l’aiuto di esperti nei campi più disparati: botanici per le emoji floreali, esperti di gestualità per verificare il significato dei gesti delle mani nelle diverse culture, cuochi per le rappresentazioni di cibo, medici per gli emoji delle vaccinazioni e così via.
Per ogni emoji c’è uno studio grafico, come quello della faccina immersa nelle nuvole che vuole significare cervello annebbiato, forse l’offuscamento è dovuto a raffreddore, forse a qualcosa d’altro.
Con buona pace dei nostri politici, lo emoji subcommitte è convinto che gli emoji debbano essere quanto più inclusivi e genderless possibile. Certo, ci sono emoji maschili e femminili ma l’idea è di non vestire un bambino di rosa o di azzurro. Jennifer sostieni che gli emoji sono un messaggio e ha perfettamente ragione a vigilare perché il messaggio sia sempre rispettoso e inclusivo, oltre che spiritoso.