In una Italia sempre più anziana, con politica e classe dirigente sempre più vecchia, c’è chi ha pensato di chiedere il parere dei Millennials
I maggiorenni under 35 circa il loro futuro vedono un bicchiere mezzo vuoto. Le loro opinioni su quello che stanno facendo i leader politici, gli imprenditori e i grandi media sono spesso negative e stanno mutando rapidamente. Dall’ultimo rapporto di Deloitte emerge che nel 2017 il 76% dei giovani riteneva che il mondo dell’impresa potesse avere un impatto positivo sulla società, mentre due anni dopo la percentuale di ottimisti scende al 55%. In generale solo il 26% degli under 35 oggi pensa che entro un anno l’economia mondiale migliorerà, contro il 45% che aveva risposto in questo modo nel 2017 e nel 2018.
Ma è davvero mero pessimismo, o piuttosto una maggiore consapevolezza della responsabilità delle istituzioni, nell’ottica di una svolta davvero sostenibile per il pianeta? Dalle risposte non emerge uno scoramento passivo: i ragazzi sono delusi dalle istituzioni, e critici nei loro confronti, ma in modo proattivo. Non è la precarietà del posto di lavoro, la paura di rimanere disoccupati a farli arrabbiare. Le loro critiche riguardano principalmente la miopia delle istituzioni pubbliche e private rispetto all’urgenza di cambiare il modo di fare business.
Alla domanda su quali ambiti sono prioritari, il 46% dei millennials intervistati da Deloitte ha risposto di pensare che il proprio lavoro possa avere un impatto positivo per la comunità, una percentuale simile a chi risponde di avere come priorità un salario alto.
Il Deloitte Global Millennium Survey 2019 si basa sulle opinioni di 13.416 millennials (i nati tra il gennaio 1983 e il dicembre 1994) provenienti da 42 paesi in tutto il mondo e di 3.009 ragazzi di 10 paesi nati fra gennaio 1995 e dicembre 2002, la cosiddetta Gen Z. La dimensione complessiva del campione rappresenta il più grande sondaggio di Millennial e Gen Z negli otto anni che Deloitte Global ha pubblicato questo rapporto.
Scarsa opinione del mondo del business come driver di uguaglianza
Tre ragazzi su quattro affermano di voler lasciare il posto di lavoro entro 5 anni perché l’azienda non è abbastanza attenta alle questioni ambientali e di benessere sul luogo di lavoro, anche in termini di inclusione della diversità, di flessibilità di orari e di smart working. Un ragazzo su quattro dai 18 ai 35 anni dichiara inoltre di non avere alcuna fiducia nell’impatto positivo delle grandi imprese che operano a livello mondiale sul pianeta e sulla giustizia sociale.
Il gap maggiore fra ciò che le aziende dovrebbero fare a detta dei più giovani, e ciò che realmente fanno riguarda il profitto. Solo il 28% dei ragazzi ritiene che le aziende dovrebbero puntare principalmente sul generare profitto, ma oltre la metà di loro si dice convinto che le aziende stesse mirino solo a questo. Il 33% pone come prioritario per un’azienda migliorare la società riducendo povertà e disuguaglianze sociali, ma solo il 16% di loro pensa che questo stia accadendo. Il 27% considera fondamentale che le imprese mirino a salvaguardare anche l’ambiente, ma al tempo stesso solo il 12% pensa che lo stiano davvero facendo. Un gap importante riguarda anche le aspettative dei più giovani rispetto al trattamento dei lavoratori: un terzo dei rispondenti vorrebbe che i datori di lavoro investissero maggiormente nella crescita dei dipendenti, ma solo il 17% considera questo aspetto realtà.
Poca fiducia nei leader politici, che dovrebbero guidare la mobilità
La fetta più grossa dei Millennials intervistati – il 36% – ritiene che siano i governi i principali responsabili del miglioramento della mobilità sociale, ma il 62% di loro pensa che questi non diano sufficiente priorità a questo aspetto. Non a caso il 45% di loro ha dichiarato di non avere nessuna fiducia nella classe politica. Molto più bassa (20%) è la percentuale di ragazzi che pensa che siano le imprese a dover favorire la mobilità. Il 18% ritiene che la responsabilità ricada sui singoli individui, il 10% su scuola e università e il 9% sul mondo del no profit. Curiosamente, proprio i settori reputati meno responsabili risultano essere – a detta degli intervistati – quelli che hanno più a cuore il problema.
Amore/odio per i social media
Un ultimo aspetto interessante che emerge da questo sondaggio è che i giovani, e anche i giovanissimi, sembrano tutt’altro che assuefatti dall’uso del social media. Anzi: mediamente ci si fida poco. Sebbene il 71% dei Millennials si senta positivo riguardo al proprio uso personale di dispositivi digitali, il 64% ritiene che starebbe fisicamente meglio senza, e la metà di loro ammette che tutto sommato sono più gli aspetti negativi che quelli positivi nell’uso di questi strumenti. Risposte che lasciano aperta la domanda se il problema sia nello strumento o nell’uso non ottimale che ne viene fatto.
I ragazzi sono inoltre ben consapevoli dei pericoli legati alla sicurezza informatica: tre su quattro di loro sono preoccupati di essere vittime di frodi o di come le organizzazioni condividono i loro dati personali con terze parti.
In sintesi, sulla base di questi dati non possiamo parlare di pessimismo, ma di forte critica nei confronti di un sistema in cui i giovani e i giovanissimi si riconoscono sempre di meno. Quello che è accaduto nelle settimane scorse a New York per lo UN Climate Action Summit, dove frotte di giovani si sono riversate per le strade per protestare contro l’inadeguatezza della politica nella difesa del pianeta, ne è l’esempio. Fare business non è un bene di per sé: le imprese che portano un reale benessere sono quelle che avranno un impatto positivo sulla società. E da questo sondaggio emerge che, almeno a parola, le nuove generazioni non esiteranno a ridurre o a porre fine relazioni di consumo in cui non credono, qualora dovessero non essere d’accordo con le pratiche commerciali, i valori o le tendenze politiche di quel business.
Non resta che vedere se alle intenzioni consapevoli seguirà anche l’azione.