Nelle ultime ore decine di internauti si sono scagliati contro il Presidente della Repubblica. StartupItalia! si è rivolta all’avvocato Giovanni Maria Ferrando per comprendere la portata di simili condotte
Comunque la si pensi in merito, gli avvenimenti delle ultime ore, gli scontri tra le forze politiche e le istituzioni cardine della Repubblica, hanno toccato vette di una drammaticità tali da non avere pari nella nostra storia recente. A rendere tutto ancora più aspro e amaro, ci hanno pensato i social. I commenti, a caldo, su Facebook e Twitter, di molti politici di rilievo hanno infatti contribuito a infiammare gli animi della gente comune e a generare un crescente clima di intolleranza poi divenuta odio cieco e ingiustificato nei confronti del presidente Sergio Mattarella.
C’è chi lo ha ricoperto di insulti, chi lo ha accusato di essere un traditore, chi lo ha definito schiavo dei mercati e della Merkel e chi, senza troppi giri di parole e senza scomodare ragionamenti particolarmente articolati, gli ha semplicemente augurato la morte.
Non solo insulti: anche minacce mafiose
Il punto più basso, sempre che si possa stilare una classifica leggendo simili, deprecabili, oscenità, è stato raggiunto dall’internauta che ha persino riesumato la figura del fratello Piersanti, morto per mano della mafia, come nemmeno troppo velata minaccia riguardo la sorte che spetterebbe al Capo dello Stato.
Sergio Mattarella regge il cadavere del fratello Piersanti, ucciso dalla mafia – ©Franco Zecchin
Anche quello è stato un filone molto seguito dai leoni da tastiera, declinato in vari modi. Da “hanno ucciso il Mattarella sbagliato” a “meriteresti di fare la sua stessa fine”.
Alcuni, indegni, precedenti: il giubilo per la malattia di Napolitano
Purtroppo, i social non sono nuovi a fare da terreno di coltura (da non confondersi con cultura) di questo tipo di latrati che nulla hanno a che spartire con giudizi, pensieri e opinioni. Poche settimane fa, molti internauti avevano infatti esultato alla notizia del malore che aveva colpito il presidente emerito Giorgio Napolitano costringendolo a un ricovero improvviso. Anche in quel caso, oltre all’ingiustificata euforia si era presto scaduti in una trivialità senza pari, una vera e propria gara all’insulto più becero e sprezzante.
Naturalmente, molti utenti, dopo aver twittato ci ripensano e, capendo di averla fatta grossa, corrono a cancellare il post. Il web però non dimentica: come testimoniano queste immagini, esistono modi per far saltare fuori nuovamente ciò che è stato eliminato. Modi naturalmente conosciuti dai tecnici della Polizia Postale che ha già iniziato una tornata di indagini cui seguiranno, a breve, le prime informazioni (o avvisi) di garanzia.
Perché insultare Mattarella è reato
Questo perché, a dispetto di ciò che molti credono, l’insulto su Facebook è ben più di una semplice bravata: incarna una fattispecie penalmente rilevante che può assumere connotazioni differenti a seconda di chi è la vittima. Nei casi più ricorrenti, ovvero quando si commette diffamazione, si è persino di fronte all’aggravante della commissione a mezzo stampa, cioè l’ipotesi più grave, come ha più volte ribadito la Corte di Cassazione, perché i social vengono equiparati ai quotidiani e questo espone tutti i trasgressori a pene particolarmente pesanti.
I reati che si possono commettere illustrati dall’avvocato Ferrando
Quando però si insulta il Presidente della Repubblica si configurano fattispecie criminali persino più serie, come ci spiega l’avvocato Giovanni Maria Ferrando del Foro di Imperia: «Chi attacca insultando o diffamando Sergio Mattarella via Facebook può vedersi contestare i reati di reato di “offese al Presidente della Repubblica” e “Vilipendio alla nazione italiana”, rubricati rispettivamente agli articoli 278 e 291 del nostro Codice Penale».
Multe salate e la possibilità di finire in galera
«Per la precisione – prosegue il legale – l’articolo 278 del Codice penale recita: “l’offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica può essere commessa da chiunque manchi di rispetto in modo grave al Capo dello Stato con la previsione della reclusione per una cornice edittale che va da uno a cinque anni”». «Il reato – specifica l’avvocato Ferrando – si consuma quando viene comunicata, con qualsiasi mezzo, un’offesa che relativa alla persona del Presidente della Repubblica sia in riferimento a fatti che ineriscono all’esercizio o alle funzioni cui è preposto, sia a fatti che riguardano l’individualità privata, anche anteriori all’attribuzione della carica».
Mentre «L’articolo 291 del Codice Penale stabilisce che chiunque pubblicamente vilipende la nazione italiana è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 per aver commesso il reato di vilipendio alla nazione italiana».
Cosa succede dopo aver postato un insulto diretto a Mattarella?
«Chi offende il Presidente della Repubblica e le istituzioni – chiarisce il difensore -, subisce un procedimento penale e la Polizia giudiziaria può disporre prima la perquisizione e poi il sequestro del materiale utilizzato dal colpevole per postare su Facebook i commenti ingiuriosi (computer e cellulare, hard disk e pen drive, ecc)». Naturalmente i precedenti non mancano: «In tal senso, conclude Ferrando, può essere utile la lettura della sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI Penale, del 22 aprile – 4 agosto 2016, n. 34450».
Differenza tra diritto di critica e diffamazione
Ma quindi non è possibile esercitare il proprio diritto di opinione quando l’oggetto della contestazione è il presidente Mattarella? Ovviamente è possibile, altrimenti saremmo in dittatura, così come è possibile contestare pubblicamente – e dunque anche via social – i politici più distanti dalle nostre idee. Bisogna però farlo cum grano salis, ovvero senza mai abbandonare il buonsenso.
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Infatti, come chiosa l’avvocato Giovanni Maria Ferrando: «Il diritto di critica si concretizza nell’espressione di un giudizio o di un’opinione che, come tale, non può essere rigorosamente obiettiva. La critica negativa dell’operato altrui non è di per sé offensiva perché non può considerarsi lesiva della reputazione altrui se si argomenta il proprio dissenso rispetto a comportamenti di interesse pubblico. Ovviamente le espressioni adottate non devono risultare pretestuosamente denigratorie».
Quando è possibile inciampare nella diffamazione “a mezzo social”
Può essere utile a chiunque sapere che «Presupposti per la diffamazione a mezzo Facebook invece sono: a) la precisa individualità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose; b) la comunicazione con più persone alla luce del carattere pubblico dello spazio virtuale e la possibile sua incontrollata diffusione; c) la coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo. Naturalmente, come abbiamo detto, nel caso del Presidente della Repubblica si passa dall’articolo 595 cp al combinato degli articoli 278 e 291».