La ricerca tutta italiana, è una prima mondiale assoluta. La speranza è proporre nuove terapie geniche per malattie che adesso non si riesce a curare, come le distrofie muscolari o le malattie che riguardano il cromosoma X. Al momento sui test preclinici funziona, ma la strada verso l’uso clinico è ancora lunga
Un trapianto di cromosoma. Tutto intero, da una cellula all’altra. Lo si è fatto per la prima volta, lo si è ripetuto, lo si farà ancora. Obiettivo: correggere difetti genetici importanti che non potranno essere affrontati con le piccole modifiche del Dna realizzabili con l’editing genetico.
La ricerca di Marianna Paulis e colleghi dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica (Cnr-Irgb) e dell’Irccs Humanitas di Milano è una prima mondiale assoluta. Primo atto: la dimostrazione, nel 2015, della possibilità di trapiantare cromosomi tra cellule staminali di topo. Poi si sono usate, al posto delle staminali, le cosiddette cellule iPS, cioè le cellule staminali pluripotenti indotte (cellule adulte “riprogrammate” per funzionare come staminali). In ultimo, la pubblicazione è di pochi mesi fa, si è passati dalle cellule di topo a quelle umane. E funziona.
“Funziona, sì. Non è possibile dire se e quando la strategia potrà dare vita a una sperimentazione clinica, ma funziona”, spiega Paulis.
Sostituire il cromosoma sbagliato
Sì, perché obiettivo ultimo è la cura di malattie genetiche dovute a mutazioni molto ampie, come le distrofie muscolari (che sono causate da mutazioni di geni molto grandi) o le malattie che riguardano il cromosoma X (la sindrome dell’X fragile, la sindrome di Turner). “È come per le malattie di organo – prosegue Paulis – ci sono quelle che possono essere curate con un bisturi e un intervento di precisione, e quelle che richiedono il trapianto”.
In questi casi, la proposta è quella di togliere il cromosoma sbagliato e sostituirlo del tutto. Ma non è per niente facile. “Lo stiamo facendo con le cellule staminali perché l’efficienza del trasferimento non è ancora alta ed è cruciale avere la possibilità di moltiplicare la cellula corretta”. Inoltre, insiste Paulis, “per adesso abbiamo lavorato sul cromosoma X e con una mutazione tale da permetterci di riconoscere al volo le cellule su cui il trapianto è avvenuto con successo. In futuro si tratterà di trovare altri geni selezionabili oppure di pensare alla possibilità di introdurli in sicurezza”.
Le obiezioni di tipo etico
Quanto alle obiezioni di tipo etico, che vengono talvolta sollevate di fronte a ricerche in cui si manipola il genoma, qui sembrano più che superabili. “Noi inseriamo il cromosoma sano e poi quello malato se ne va da solo, quindi alle fine le cellule hanno un corredo cromosomico normale, da 46 cromosomi. E se anche qualche cellula maschile (cioè in partenza dotata di un unico cromosoma X) diventa femminile (perché, mettiamo, il cromosoma X vecchio rimane e a scomparire è il cromosoma Y, che in un adulto non serve più a molto), pazienza. Del resto anche nei trapianti d’organo può capitare di ricevere un organo da una persona di genere diverso, no?”. Infine “il cromosoma sano da trapiantare può derivare da qualsiasi cellula adulta, senza che venga distrutto nessun embrione”.
La ricerca di Marianna Paulis prosegue. La conclusione è d’obbligo: “La nostra speranza è di arrivare a proporre nuove terapie geniche per malattie che adesso non si riesce a curare. Ma siamo ancora a un livello di ricerca di base, e ci sono ancora tante cose da fare”.