La piattaforma sviluppata dalle imprenditrici Beatrice Adorni e Paola Carobbio consente di raccogliere tutte le strutture sul territorio e di offrire informazioni a una community globale che prenota la sua visita e poi commenta con gli altri membri l’esperienza
Divano, casa, pranzo e cena, automobile, perfino barca a vela. Tutto può essere condiviso grazie al web. Che cosa manca? La piscina, per esempio, per fare un tuffo social: ci si rinfresca e intanto si fa amicizia. È questa l’ultima sfida della sharing economy: si chiama Fingerpools ed è la prima piattaforma online italiana, che consente a chi non ha una piscina di tuffarsi in quella degli altri, pagando, e a chi una piscina ce l’ha di metterla a disposizione, traendone un guadagno: privati, hotel e b&b, tennis e golf club, agriturismi, centri spa e discoteche. Come? Si affittano i posti nei giorni e negli orari desiderati, personalizzando anche il target su cui si vuole puntare: famiglie, sportivi, naturisti, solo donne, over 65 o ospiti lgbt, per fare qualche esempio.
Beatrice Adorni e Paola Carobbio
L’idea è venuta a due giovani imprenditrici di Bergamo, Beatrice Adorni e Paola Carobbio, che hanno messo online il sito nel marzo 2017. Il 30 ottobre a Milano parteciperanno alla finale del Premio Cambiamenti 2017, grande concorso nazionale che sostiene le migliori startup. Non è per loro la prima competizione: sono arrivate in finale anche all’International Accelerator in Texas, al Conscious Venture Lab di Baltimora e ad Invitalia Factorympresa a Salerno. «Salire sul podio è per noi una grande soddisfazione e un ottimo punto d’inizio, calcolando che la nostra startup è un albero che ha messo le prime foglie, per dirlo con una metafora», dicono le founder che spiegano a StartupItalia! le caratteristiche del loro progetto.
L’incontro tra domanda e offerta
Come è nata l’idea di Fingerpools?
«Mentre morivamo di caldo nell’estate 2015, abbiamo sperimentato quanto fosse difficile trovare una soluzione al bisogno di una nuotata in un contesto economico, sicuro e rilassante, vicino a casa. Nemmeno Google ci ha aiutato. Abbiamo capito che, pur essendoci parecchie piscine private nei dintorni, mancava la piattaforma di riferimento che collegasse domanda e offerta. Conoscendo bene la sharing economy, abbiamo pensato di adattarla anche al settore delle piscine e così abbiamo dato vita a Fingerpools. Il nome deriva dall’unione di due parole: pools, ovvero piscine in inglese, e finger, cioè dito, proprio a indicare la possibilità di cercare una piscina digitando sullo smartphone».
A che punto è il progetto?
«Ci stiamo concentrando sulla costruzione di una numerosa comunità di host, ovvero di strutture interessate a mettere a disposizione la loro piscina, poi ci rivolgeremo ai guest, cioè alle persone in cerca di un luogo dove fare un tuffo. In attesa che l’estate ritorni in Europa, in questi mesi stiamo puntando su aree del mondo dove fa caldo per lunghi periodi dell’anno: Centro America, Stati Uniti, Sud Est Asiatico, Africa e Australia. Ora il sito conta 35 piscine a pagamento in 9 Paesi: Thailandia, Marocco, Kenya, Cambogia, Indonesia, Argentina, Costa Rica, Grecia e Italia. La maggior parte delle strutture sono concentrate a Bali e a Siem Reap, in Cambogia, vicino ai templi di Angkor Wat. La piattaforma ha anche una sezione dedicata alle piscine naturali: qui si possono segnalare luoghi dove poter fare un bagno gratuitamente, immersi nella natura».
Un modello economico internazionale
Qual è il modello economico di Fingerpools e che obiettivo vi siete date?
«Noi tratteniamo il 16 per cento della somma pagata dagli utenti, il resto viene trasferito alla struttura. Per dare vita a un business sostenibile abbiamo dovuto subito puntare sul mercato globale, pur correndo il rischio della dispersione. Due le ragioni: da un lato equilibrare la presenza di paesi dove il costo della vita è molto diverso, dall’altro compensare aree geografiche stagionali, quindi con lunghi periodi morti, come può essere l’inverno in tutta Europa. Abbiamo fatto un progetto di 3-4 anni con l’obiettivo di raggiungere il break even nel 2019. Stiamo lavorando anche per stringere delle partnership che ci possano aiutare nello sviluppo, ma vogliamo valutarle attentamente».
Quante piscine ci sono nel mondo?
«Quelle censite sono oltre 22 milioni, ma il dato reale è sicuramente superiore, perché è solo a partire dagli anni ‘60 che sono nati i registri delle piscine. I paesi in cui se ne contano di più sono Stati Uniti, Brasile e Australia. Venendo all’Europa, al primo posto c’è la Spagna con 1,2 milioni di piscine, poi la Francia con un milione, la Germania con 900mila e l’Italia con 330mila, seguita dalla Gran Bretagna con 230mila. Nel nostro Paese le piscine pubbliche sono 3mila, quelle di proprietà di alberghi e hotel 80mila, il resto appartiene a privati e strutture come i golf club».
La sharing economy delle piscine
Come vengono stabiliti i prezzi d’ingresso?
«Per forza di cose le tariffe non possono essere le stesse, dagli Stati Uniti alla Cambogia. Quindi bisogna adattarsi innanzitutto al tenore di vita del singolo paese. Poi noi consigliamo di fare una semplice indagine commerciale nella zona e di scegliere una via di mezzo: tra la piscina comunale a 7 euro e la spa a 60 euro, una buona proposta può aggirarsi sui 20-25 euro al giorno. L’host ha poi la possibilità di offrire servizi aggiuntivi a pagamento: caffè, bibite, snack, parcheggio o sauna, per esempio».
Quanti competitors avete?
«Uno solo: si chiama Poolforu ed è stato lanciato da due ragazzi americani. Il target è però molto diverso, una clientela di cultura ebraico-ortodossa, e molto concentrato sugli Stati Uniti».
Con Fingerpools siete riuscite a coinvolgere anche gli hotel nella sharing economy.
«Sì. Le strutture alberghiere tendono a soffrire la sharing economy e a vederla come concorrenza, soprattutto qui in Italia, dove c’è una mentalità ancora molto tradizionalista. Nel Sud Est asiatico, invece, abbiamo incontrato molti direttori d’albergo giovani e smart che hanno capito bene quanto i turisti oggi si muovano in base ai racconti condivisi dagli amici sui social. Il futuro è la ricerca di esperienze e, non a caso, anche Airbnb si sta muovendo in questa direzione, aprendo una sezione dedicata».
Come si inquadra Fingerpools a livello legislativo?
«Noi siamo responsabili della piattaforma e dei pagamenti. Gli host hanno l’obbligo e la responsabilità di rispettare la legislazione edilizia e igienico-sanitaria del paese in cui si trova la piscina. Sta a loro, tra l’altro, limitare il numero di ingressi, rispettando i limiti che differenziano una piscina privata da una pubblica. Sul sito, inoltre, possono segnalare anche eventuali servizi di sicurezza come presenza del bagnino, disponibilità di un kit di primo soccorso, possibilità di un medico o di un ospedale nelle vicinanze. Anche per Fingerpools, poi, vale il meccanismo delle recensioni che caratterizzano tutta la sharing economy: è attraverso la condivisione di racconti e giudizi tra gli utenti che viene decretata la professionalità degli host da un lato e l’educazione dei guest dall’altro».