L’intestino di vitello (o pajata), ingrediente principale del famoso piatto romano, mancava in tavola da 15 anni. Finito nella black list a causa di mucca pazza, può tornare a essere cucinata anche nei ristoranti
E’ un ritorno vero e proprio, una uscita dal limbo, quello della pajata: mancava da 15 anni dalla tavola degli italiani (ma soprattutto dei romani, con i classici rigatoni), per effetto delle restrizioni sanitarie adottate nel luglio 2001 per far fronte all’emergenza mucca pazza (Bse). Ma adesso che l’emergenza è passata, la pajata può tornare ad essere liberamente preparata e consumata, sia in casa che nei ristoranti.
La lista dei materiali a rischio
In realtà l’intestino di vitello è stato liberalizzato il 5 agosto scorso, con l’entrata in vigore del Regolamento UE 2015/1162, ma doveva essere pulito, svuotato e sbiancato prima di essere messo in commercio. Ora, a seguito delle nuove disposizioni può essere utilizzato l’intestino medio dei vitelli con il contenuto di chimo (latte), consentendo quindi il ritorno della “vera” pajata. Determinante la modifica alla lista di porzioni di organi e tessuti considerati materiale animale da eliminare, il cosiddetto Materiale Specifico a Rischio (MSR) che mantiene comunque l’obbligo di eliminare il cervello fritto di bovino adulto da cui si ottengono le frittelle impastellate in acqua e farina o in uovo e pan grattato dopo una prima scottata in brodo bollente.
Cervello, occhi, midollo spinale
Il morbo della mucca pazza (Bse, Encefalopatia Spongiforme Bovina) è una sindrome degenerativa del cervello che colpisce i bovini ma che può essere trasmessa all’uomo. In seguito alla diffusione della malattia, nel marzo 2001 furono vietati dalla Ue tutta una serie di alimenti bovini tra i quali la bistecca con l’osso (la “fiorentina” tornò sulle tavole nell’ottobre del 2005), il cervello, gli occhi, il midollo spinale degli animali superiori ai 12 mesi.
Dal 2009 nessun caso mucca pazza in Italia
La pagliata (in gergo romanesco pajata) è l’intestino del vitello che contiene il chimo, una sostanza lattiginosa, ed è l’ingrediente principale di uno dei piatti più tipici della cultura gastronomica romana, i rigatoni con la pajata, anche se la stessa (ad esempio nelle Marche) può essere proposta anche alla brace, in forma di spiedino. Le misure della Commissione Europea sono una conseguenza del fatto che dal 2009 non si registrano casi di mucca pazza tra bovini in Italia per il rigido sistema di controlli e per le misure di sicurezza messe in atto anche con grandi sacrifici dagli allevatori. L’Italia con Giappone, Israele, Olanda, Slovenia e Usa fa parte della ristretta cerchia di 19 Paesi, sui 178 aderenti all’Oie, che hanno raggiunto la qualifica sanitaria migliore di rischio “trascurabile” per la mucca pazza (Bse). Sicurezza che (con il ritorno della pajata) è alla base di quello che rappresenta un risultato importante per consumatori, ristoratori, cuochi, macellatori e allevatori capace di avere rilevanza sul piano gastronomico ma con effetti anche su quello economico con la valorizzazione dell’allevamento italiano.
La ricetta dei rigatoni
Per fare i rigatoni con la pajata si deve spellare e lavare l’intestino di vitello che poi va tagliato a pezzi da circa 20 cm. Rosolare in una casseruola una cipolla, prezzemolo e peperoncino piccante tritato, dopo la doratura aggiungere la pajata e mezzo bicchiere di vino bianco. Fa cuocere il tutto per una decina di minuti, poi aggiungere passata di pomodoro e far cuocere per circa 2 ore. I rigatoni (al dente) vanno quindi serviti con la salsa e pecorino grattugiato.