E’ un po’ come Gnammo, ma espressamente dedicato ai turisti che vogliano schivare le trappole dei ristoranti. E ci sono già decine di offerte fra Roma, Milano e Firenze. Come funziona Bon Appetour
La cucina è da sempre un ingrediente fondamentale dell’esperienza turistica. Visitare un posto significa anche assaggiarne i sapori, farlo proprio assimilandolo, rendendolo parte di noi stessi attraverso le ricette e le esperienze alimentari locali. Non è un caso che, quando mangiamo male, ne risenta l’intera esperienza del viaggio, contribuendo a un bilancio negativo. Bon Appetour cerca proprio d’infilarsi in questo mercato: è una piattaforma che consente ai turisti di pranzare o cenare in case private e dunque essere ospiti di un residente del luogo che si sta visitando o in cui si sta trascorrendo una vacanza.
I numeri
Qualche numero? Secondo uno studio il 71% dei turisti statunitensi viaggia con amici o famiglia e prenota esperienze culinarie locali. Nella fascia strategica 25-40 anni questa percentuale sale all’82%. Solo il 7% sceglie la vacanza di gruppo e i tour operator con esperienze una simile all’altra. “Viaggiare sta diventando una formula di espressione di sé – dicono da Bon Appetour – le persone vogliono sentirsi ispirate dai posti che visitano e dalle persone che incontrano, scacciando i pregiudizi culturali e puntando a divenire cittadini del mondo, informati e dinamici”.
Come funziona Bon Appetour
Bon Appetour, fondato due anni fa da Rinita Vanjre Ravi, Inez Wihardjo e Giovanni Casinelli, viene ora lanciato anche in Italia. Per la precisione a Roma, Firenze e Milano. Già diverse decine le offerte disponibili. Ma era già attivo a Singapore – dove si trova il quartier generale della piattaforma – e in molte altre città come Barcellona, Praga, Stoccolma, Berlino e Parigi. Il macrocosmo è quello del social eating alla Gnammo, con la differenza centrale del target turistico e dell’esperienza per così dire etnica: si sceglie un home restaurant che proponga “emozioni” culinarie di un certo tipo, il più possibile tipiche (dal corso di paella a Barcellona alla cena in terrazza a Roma, propone il sito), ci si mette in contatto con l’host (cioè l’organizzatore) confermando preferenze sul menu e la data, si paga sul sito e stop, si va a cena schivando gli stucchevoli preconfezionamenti dei locali turistici.
L’idea
L’idea, dunque, è semplice: collegare viaggiatori e organizzatori locali appassionati di cucina per un pasto preparato in casa. “Lo spunto è nato da un’esperienza personale – racconta Rinita Vanjre Ravi – abbiamo scoperto di essere in grado di costruire più connessioni significative con le persone, le tradizioni e i luoghi visitati così abbiamo deciso di combinare gli ingredienti più apprezzati di una vacanza, cibo e persone, in un’esperienza diversa”. Al momento la piattaforma è disponibile in quattro lingue e raggiunge 30 città nel mondo. I nuovi fronti sono proprio l’Italia, la Spagna e la Francia.
Un nuovo fronte della sharing economy
“I viaggiatori vivono esperienze memorabili mangiando con chi è del posto e con le loro famiglie – aggiunge la cofondatrice Inez Wihaedjo – abbiamo coinvolto ogni genere di nucleo, da persone con bambini a coppie in pensione”. Il meccanismo, insomma, promette di essere universale. E di aprire un nuovo fronte di scontro (o almeno di obbligato confronto) con le autorità locali: se Airbnb e simili piattaforme servono infatti a trovare un letto e una colazione quando si viaggia, Bon Appetour ne costituisce l’ideale completamento risolvendo anche – in chiave iperlocalistica – il pranzo e la cena. Cosa ne penseranno i ristoratori?