Il nuovo esperimento di cui è stato oggetto il sito di recensioni, un ristorante farlocco stravotato e proiettato artificiosamente in cima a una classifica locale, apre una serie di questioni sulle responsabilità di servizi del genere nonché sul senso di operazioni simili
Non si tratta ovviamente di difendere TripAdvisor. Un colosso che non ha d’altronde bisogno di alcuna arringa d’ufficio. Però la non notizia che sta circolando da alcune ore – “Scandalo TripAdvisor, il falso ristorante primo in classifica” – merita qualche riflessione aggiuntiva. Come ha ben spiegato Marta Eleonora Rigoni, “ancora una volta il portale di recensioni di hotel e ristoranti è stato vittima di un esperimento volto a dimostrare la scarsa attendibilità delle classifiche presenti sul sito. Artefice della trappola la rivista enogastronomica Italia a Tavola, già promotrice della campagna #NoTripAdvisor, che, grazie all’aiuto di alcuni ristoratori, ha beffato il gigante delle recensioni creando un finto ristorante e facendolo arrivare in cima alla classifica grazie a una serie di giudizi positivi creati ad hoc”.
Il falso ristorante Scaletta di Moniga del Garda
Siamo dalle parti di Moniga del Garda, Brescia, dove i neoluddisti della recensione hanno aperto un falso profilo per l’inesistente trattoria Scaletta, riempiendolo di ottimi commenti da cinque palline e ottenendo automaticamente la promozione al primo posto della locale classifica, ai danni di altri locali della zona ampiamente recensiti. Per i ristoratori il problema è nella totale assenza di controlli che permetterebbe appunto giochini del genere.
Ma è troppo facile fregare così il sistema
Ora, diciamo qualche cosa perché l’idea che in questo Paese l’onere della prova debba sempre e senza appello spettare a chi offre un servizio innovativo e mai a chi si pasce sui propri allori e sulle proprie rendite è davvero odiosa. TripAdvisor è una piattaforma aperta, mica Sherlock Holmes. Funziona se una realtà esiste: se tu inventi un locale farlocco non c’è mica l’omino di TripAdvisor che va a verificare. E questo lo sanno tutti. Certo, qualche controllo dovrebbe esserci (non so, magari un bollino come locale garantito, dovrebbero pensarci) e in fondo a volte basterebbe una telefonata. Ma, come dire, troppo facile fregare così il sistema, si sa che è vulnerabile. Non solo una scelta di questo genere viola i Termini di servizio del portale ma attribuisce anche a un intermediario aperto, col quale migliaia di ristoratori campano e hanno ritrovato slancio negli affari, competenze che in fondo non gli appartengono. Se poi si rivenda la completa trasparenza delle recensioni tramite pubblicità scivolose, nonostante di giudizi indubitabilmente falsi e strumentali ce ne siano a tonnellate, è un conto. Ma certo non esiste un’unità speciale antiboicottaggio che si paracaduta a Moniga del Garda per ispezionare la cucina del falso ristorante Scaletta. Non so se è il concetto è chiaro: Italia a Tavola sapeva che sarebbe andata com’è andata.
Giusto chiedere più attenzione, ma degli altri disagi vogliamo parlarne?
Parliamoci chiaramente, amici ristoratori: in Italia non controllano le Asl, dovrebbe controllare TripAdvisor? Forse i disagi che viviamo ogni giorno in ogni città italiana – bagni putrescenti, zero scontrini, ingredienti spesso di scarsa qualità, prezzi irragionevoli, scarsa pulizia, servizio spesso scortese specialmente nelle destinazioni d’arte – non meriterebbero altrettante attenzione? Anche considerando che spesso TripAdvisor serve proprio a evitare quelle situazioni, facendo il gioco dei migliori fra voi? Ma forse a parlare, allora, non sono i migliori.
La vera contestazione sarebbe verificare, per esempio chiedendo l’accesso ai big data di TripAdvisor o con un reportage sul campo, se in effetti le recensioni alla fine ci prendano o meno. Ma anche quell’aspetto solleverebbe problematiche perché, visto che parliamo di gusti personali incontestabili (a te piace una bettola, a me il Ritz, a te i carciofi ben cotti, a me il succo di melograno), ogni resoconto di questo tipo sarebbe rispedito al mittente. Da qui la genialità del fondatore Stephen Kaufer, che tanti anni fa ha pensato di costruire un impero sul passaparola. E, come nel passaparola, tante informazioni vengono distorte e ridisegnate sulla base delle preferenze, del tempo che è passato, del cameriere antipatico. Sacrosanto chiedere al gigante più attenzione sul suo core business, cioè le recensioni. Come d’altronde sostiene di fare, dopo aver saldato la salata sanzione di 500mila euro decisa dall’Autorità antitrust. Meno corretta la controprova fallace messa in campo in questa e altre situazioni: un po’ come se qualcuno si portasse un topo morto in tasca e, facendo finta di andare al bagno, lo gettasse in cucina o fra i corridoi di un qualsiasi ristorante per poi prorompere in un urlo impazzito e portarlo all’attenzione di tutti i commensali. Siamo seri.