Dal 2016 si cambia: per tutelare i consumatori, le etichette alimentari dovranno recare anche la provenienza dello stabilimento di produzione. A che cosa fare attenzione quando si compra un prodotto
I consumatori vogliono essere informati su ciò che comprano. E hanno il diritto di esserlo. Per troppe volte agenzie e testate hanno rilanciato notizie di frodi, merce avariata, etichette fuorvianti, prodotti stranieri spacciati per italiani. Il problema investe tutto il settore alimentare. Per correre almeno in parte ai ripari si è mosso il Consiglio dei ministri: via libera dunque al disegno di legge di delegazione europea che prevede la reintroduzione obbligatoria dell’indicazione dello stabilimento di origine. Provvedimento che naturalmente soddisfa il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina: «Dal 2016 verrà reintrodotto l’obbligo di inserire in etichetta lo stabilimento di provenienza: è una battaglia vinta». Le ultime notizie in tema di etichette, del resto, non erano certo confortanti.
Carne: non solo etichette
Ad alzare la voce, dopo un mese di allarmismi, è stata l’Associazione europea dei consumatori (BEUC), durante il lancio di uno studio che ha coinvolto i cittadini di sette Paesi, Italia compresa. Così puntualizza il direttore generale del Beuc, Monique Goyens: «Se vogliamo ripristinare la fiducia dei consumatori nella carne, gli Stati membri dell’Ue devono aumentare i controlli e assicurarsi che le etichette siano complete e accurate. L’Unione Europea dovrebbe essere un mercato unico, ma la tutela del consumatore dipende dalle risorse di ogni Stato membro, perché i controlli costano». Ad allargare il discorso ci pensa la nostra Adiconsum, per bocca del Presidente Pietro Giordano: «L’etichetta è sì uno strumento prezioso per il consumatore, ma non è tutto. Occorrono, a nostro avviso, campagne di educazione alimentare che vedano il coinvolgimento di tutti, dai consumatori ai produttori, ai preparatori ai distributori ai venditori ai somministratori degli alimenti».
Indignarsi sul latte comprato
Tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti nel nostro Paese sono stranieri. Metà delle mozzarelle vendute vengono fatte con cagliate o latte esteri. Lo afferma il dossier presentato pochi giorni fa dalla Coldiretti: «In Italia entrano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile, concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente». La provenienza, per la maggior parte, è l’Est Europa: vengono truffati non solo i consumatori, ai quali non vengono fornite informazioni corrette, ma anche i produttori che usano latte fresco, costretti ad affrontare una concorrenza sleale. Del resto i produttori non sono al momento obbligati a prendere provvedimenti in fatto di etichettatura. «L’89 % dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari»: sono parole di Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti. Ma le cose potrebbero cambiare.
Come leggere le etichette?
Bisogna saper distinguere il giorno di scadenza e il termine minimo di conservazione, intanto: il primo è inviolabile, il secondo invece indica il giorno entro il quale è preferibile consumare il prodotto in questione. Dopo quel termine possono variare alcune caratteristiche dell’alimento, che resta comunque innocuo per la salute. Nell’etichetta è anche riportata la presenza di additivi come coloranti, emulsionanti, conservanti, antiossidanti. Non presentano particolari rischi per la nostra salute ma il produttore deve inserire nell’etichetta se possano o meno influenzare il comportamento di bambini o neonati. Infine gli ingredienti: sono inseriti in ordine decrescente a seconda della quantità presente, permettendo così di preferire prodotti di qualità migliore. Glutine, crostacei, latte, uova o arachidi (e i loro derivati), in quanto allergeni, sono in grassetto.
Etichette per non vedenti
Alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa si lavora per permettere anche a consumatori non vedenti di essere informati durante i loro acquisti. In corso c’è la progettazione di un prototipo di etichettatura alimentare accessibile, più funzionale del semplice braille. Il mezzo sarà sempre il tatto, ma aiutato da un supporto tecnologico: l’informazione passerà infatti a tablet o cellulari, e poi alle persone che ne fruiscono. «Al momento sono davvero pochi i prodotti con etichette in braille» ha spiegato la responsabile del progetto Mariagrazia Alabrese «e queste spesso contengono meno informazioni del dovuto, anche solo per motivi di spazio. Il nostro progetto si rivolge agli operatori del settore alimentare che potranno essere posti nelle condizioni di realizzare imballaggi ed etichette coerenti con la normativa e risultare accessibili anche alle persone con disabilità visiva».