Arts&Foods, la mostra all’interno dell’unico padiglione realizzato fuori dall’area Expo, narra i nostri rituali in cucina a partire dal 1851. Noi siamo stati in Triennale per raccontarvela
La Triennale di Milano apre le porte ad Arts & Foods, la mostra che getta uno sguardo sul mondo raccontando il rapporto tra arte e cibo nel tempo. Una rassegna ricchissima e di proporzioni ciclopiche che punta più sugli aspetti di spettacolarizzazione e di forte impatto visivo piuttosto che sulla dimensione organica dello story telling.
Associazioni e dissonanze invertono la sempre maggiore tendenza al dettaglio delle etichette dei prodotti alimentari disponibili sulle nostre tavole e lasciano largo spazio alla libera intuizione, alle logiche dei sensi, agli accostamenti insoliti che spiazzano e divertono. Una scelta suggestiva e sicuramente funzionale a un contesto come quello di Expo ma che a tratti rischia di sacrificare lʼelemento affabulatorio, più retorico ma necessario al coinvolgimento pieno e profondo dello spettatore.
Un viaggio tra le opere d’arte
Sulle note di Rossini si apre il primo dei quindici ambienti in cui si sviluppa lʼiter del visitatore: un salto nell’impressionismo e nel clima delle pitture en plein air dove al tema del picnic in Occidente si oppone quello del banchetto all’aperto nel mondo giapponese. Nelle grandi vetrine sono esposti argenterie e porcellane, ricettari e set di coltelli multifunzione; alle pareti le tele di De Nittis, le nature morte di Segantini e Ensor, scorci di vite nei campi e lo Chef Père Paul di Monet. Si passa poi alla mondanità e ai caffè, e quindi alle avanguardie: dapprima ci si immerge nelle pitture di Braque, Picasso, Legér, poi spazio all‘abolizione della pastasciutta con il Manifesto della cucina futurista ed ecco che si ride di gusto con Chaplin e i suoi «Tempi Moderni». Un insieme di sensazioni che in seguito lasciano il compito di incuriosire alla cartellonistica di Depero per Campari, al Cabaret Voltaire e agli oggetti dada di Ray e Duchamp.
Con le Campbellʼs Soup di Warhol assistiamo al trionfo della Pop Art americana, del packaging, dei prodotti di consumo di massa e degli spot pubblicitari: in questa sezione della mostra si trovano i coloratissimi dolci in gesso di Oldensburg, Wesselmann con i suoi Still Life, lo spirito provocatorio dei Dinner Party di Chicago. Da non perdere lʼimponente e spregiudicata The Last Supper (Camel 57), i distributori di CocaCola e di Birra Peroni, Spoerri e le sue tavole dall‘alto, la Maison “Bulle” à 6 coques e il cibo per astronauti.
Lʼarea situata al piano superiore è dedicata alle sperimentazioni più attuali: il visitatore è subito accolto dalla pungente ironia di Mozzarella in carrozza di De Dominicis (che è letteralmente una mozzarella posta all’interno di una carrozza) e poi catturato dall‘intenso aroma di caffè che emana lʼopera di Kounellis. Cʼè la gigantesca casa di pane realizzata da Urs Fischer e cʼè lʼenorme pesce di Frank O. Gehry ma trovano spazio anche la carestia del Biafra negli scatti di Don McCullin e lʼobesità in quelli di Davis nonché la denuncia nei confronti del fast food e del cibo spazzatura. La dieta cromatica di Calle, lʼiperrealismo di Mueck, i lavori di Vanessa Becroft, di Muniz, di Serrano e di molti altri.
Se questo modo di procedere accompagna meno il visitatore nel racconto, è anche lʼepoca caratterizzata da tempi di meditazione zapping tra unʼattività e lʼaltra, lʼepoca in cui lʼarte si fruisce in modo più discontinuo: un controllo meno serrato dellʼitinerario lascia la possibilità di prevedere strade alternative, come quella “vietata agli adulti” che all’interno della mostra permette ai più piccoli di conoscere la relazione tra cibo e arte attraverso giocattoli, animazioni e fumetti.
La mostra, curata da Germano Celant, allestita dallo Studio Italo Rota e aperta fino al 1 Novembre 2015 dedica l’ultimo ambiente a Cucina&Ultracorpi, l’ottava edizione del Triennale Design Museum che racconta la lenta ma inevitabile trasformazione degli strumenti da cucina in macchine e automi.