“In cucina? Cinghiale, pasta al pesto con patate e niente tecnologia, neanche microonde. Insetti? I bachi da seta sono buoni”. Le startup? “Fare sistema”. Al Questionario di Food risponde Filippo Lubrano, coo di Eattiamo
Filippo Lubrano, 32 anni, nato a La Spezia, celibe, Coo di Eattiamo
1.
Cosa mangia a pranzo, nell’orario di lavoro?
Negli anni di ufficio in Iveco a Torino seguivo il menù della mensa aziendale: un pasto completo ed economico, in cui gli chef si impegnavano molto rispetto alla fama media delle mense in Italia. Nell’ultimo anno ho vissuto a Bangkok, per cui la mia dieta è variata molto, e il pranzo si è alleggerito sensibilmente: principalmente zuppe, ordinate rigorosamente “poco speziate” per motivi di sopravvivenza.
2.
Cosa mangia invece a cena?
In Italia cerco di mantenermi più leggero la sera, anche perché spesso mi capita di cenare tardi. Nelle stagioni caldi indulgo in insalate, altrimenti cerco comunque di mangiare frutta e verdura il più possibile di stagione: a Porta Palazzo c’è un meraviglioso mercato dei contadini il sabato mattina dove generalmente facevo le scorte settimanali. In Thailandia, invece, è stato essenzialmente un anno di street food, alternato a qualche pasta fatta in casa con amici.
3.
Vino o birra?
Con sommo dispiacere di mio padre, che è belga, assolutamente vino, preferibilmente rosso. Sì, anche con il pesce: siamo disruptive in tutto!
4.
Piatto preferito in assoluto?
La pasta al pesto con patate e fagiolini di mia nonna. Se il pesto è poi della Luigina, tra i nostri produttori in Eattiamo, viene fuori qualcosa di eccezionale. Ma tra i piatti italiani adoro anche la parmigiana di melanzane e spesso ammetto di risolvere alcune cene con una sola mozzarella di bufala (generalmente intorno ai 500 grammi, però). Mi capita di non farla transitare neppure per il piatto: la mangio direttamente a morsi. In Thailandia ho adorato il yam thua phlu, un’insalata con winged beans (“fagioli alati”), uova e cocco disidratato.
5.
In quale percentuale, più o meno, mangia cibo importato dall’estero?
Apprezzo molto le cucine del resto del mondo, ma cerco di reinterpretarle con ingredienti locali.
6.
La convince una dieta vegana?
Personalmente non mi ci riconosco, e poi sono troppo entusiasta dello sperimentare cibi nuovi per poter rispettare dei vincoli così impegnativi. Ma comprendo e rispetto i valori alla base della scelta. Negli ultimi anni ho cercato di ridurre sensibilmente il mio consumo di carni, specialmente rosse. Faticherei però ad immaginare una vita senza pesce…
7.
In percentuale: quanto è attento alla salute quando è a tavola?
Non sono ossessionato, ma ho regole generali che applico talvolta con un po’ di lassismo. Generalmente non mangio mai nulla di fritto, niente caramelle o spuntini eccessivamente calorici e raramente bevo superalcolici. Quando viaggio però sono molto più tollerante nei confronti di me stesso. E se una sera esagero a tavola recupero il giorno dopo con una sessione extra di allenamento fisico.
8.
Tecnologia del food: quale usa nel privato?
In cucina, praticamente nulla che vada oltre il frullatore. Non ho neppure un microonde in casa. Ma ho assaggiato alcune ricette fatte con i “robot per la cucina” e le ho trovate oggettivamente strepitose. Non sono contro ma non pratico, essenzialmente. Compro però spesso online: ho cominciato con il DriveAuchan qualche anno fa e non ho più smesso. Sono solo più esigente nei miei acquisti.
9.
In quale altro settore del food (oltre il suo) le piacerebbe operare?
Sono affascinato dalla ristorazione diretta, anche se ho paura che richieda troppa stanzialità rispetto al mio attuale stile di vita. Opero molto volentieri nel mio. 🙂
10.
Ogm, cosa ne pensa: sì o no?
In medio stat virtus: non sono contrario a prescindere, ma sono a favore di un utilizzo regolamentato e controllato, e soprattutto della pluralità e del libero mercato. Le grandissime organizzazioni in questo campo mi fanno più paura che in altri.
11.
Prima o poi arriveranno sugli scaffali. Mangerebbe insetti?
L’ho già fatto e credo sia uno sviluppo sensato e sostenibile della nostra alimentazione. Credo che molti dei nostri blocchi siano essenzialmente mentali: a guardarlo con occhi vergini, un gamberetto non dovrebbe fare meno senso di un grillo. Personalmente ho assaggiato un po’ di tutto: ancora non riesco a superare il ribrezzo per gli scarafaggi, mentre trovo i bachi da seta piuttosto gradevoli.
12.
Secondo lei, quali sono i settori più promettenti per una startup del food?
Sicuramente, quello in cui operiamo noi: la commercializzazione di food online è a livelli percentualmente molto più bassi della media delle altre categorie merceologiche e tutti i segnali suggeriscono che questo gap verrà ridotto nel tempo. Quanto velocemente questo avverrà dipenderà essenzialmente dalla piramide demografica di ogni singolo paese: questo spiega il ritardo attuale dell’Italia, secondo paese più anziano del mondo. Ma è solo questione di tempo: prima i digital natives diventeranno consumatori, prima la rivoluzione avrà inizio. Tra gli altri settori, tengo sotto controllo con interesse quello del food printing, oltre agli aspetti social legati al concetto di tavola e all’home-restaurant.
13.
Il food è strategico per l’Italia. Cosa manca ancora per spingere il settore?
Cito una ricetta che vale per molti settori in Italia, se non tutti: fare sistema. Oltrepassare la logica dei campanili e provare a offrirci organicamente sul mercato, seppur ognuno con le proprie peculiarità e i propri tratti distintivi. E’ un problema che affonda le sue radici nella nostra storia e nel nostro costume, ma anche politico, forse, prima che imprenditoriale.
14.
Effetto Ratatouille: cosa rimpiange del cibo che mangiava da bambino?
Il cinghiale al sugo di mia nonna, il mio pranzo domenicale preferito. Un sapore che non ho mai più ritrovato in nessuna cucina al mondo.
15.
Il bimbo piange a dirotto perché vuole una merendina confezionata: quanto tempo resiste prima di cedere?
Pochissimo: gli si impacchetta un prodotto tipico e gli si fa immediatamente cambiare idea 🙂
16.
La cosa più buona mai mangiata.
Una cernia di dimensioni giurassiche con olio d’oliva e limone in un ristorante fuori Larnaca, a Cipro. Tutt’ora il pesce più buono che abbia mai mangiato in vita mia.
17.
La cosa più cattiva mai mangiata.
Oloturie crude in un ristorante coreano a Busan. Ero a cena con clienti, il ristorante era carissimo e quindi ho dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Il pesce era tutto freschissimo (i polipi, VIVI), ma anche crudo. Non è stata un’esperienza semplice.
18.
Se fosse chef, quale piatto sarebbe il suo cavallo di battaglia?
Credo che l’esercizio che abbia più senso fare nel nostro Paese è quello di rivisitare i piatti del nostro patrimonio culinario. Per dirla con Mahler, “la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. Sono anche favorevole alle impollinazioni da altre culture: il couscous di pesce siciliano è un esempio di eccellenza che supera i confini nazionali.
19.
Qual è l’innovazione che sta rivoluzionando il food più delle altre?
Gli acquisti online possono ridefinire la catena del valore in maniera sensibile: alcuni anelli rischiano di saltare, altri di rinsaldarsi. Dipenderà da quanto produttori, retailers e GDO saranno disponibili a mettersi in gioco. Per altri versi, credo che il trend dell’home-restaurant . Credo insomma che le rivoluzioni saranno più di business model che di sostanza, in sintesi. Ma tra quelle di sostanza, guardo con interesse all’idroponica, fenomeno che incanalo nella tendenza più ampia all’indipendenza energetica e di sostentamento.
20.
Ha il potere assoluto per un giorno: cosa farebbe per sconfiggere la fame nel mondo?
Il pianeta produce già cibo a sufficienza – in sovrabbondanza, per la precisione – per tutti. Si tratta solo di farlo recapitare nel punto giusto al momento giusto. Non esiste ovviamente una soluzione univoca: le food policies devono variare a seconda del contesto. Quello che vale per il deserto del Gobi non vale per la Groenlandia. Ma nel futuro, come specie, dovremo stare sicuramente più attenti al rapporto tra risorse consumate per singola kilocaloria. Come singoli, mi auguro invece che non si cada davvero mai nell’integralismo alimentare.