Un’indagine scava nella mania del foodporn: sarebbe un piccolo rituale che, spostando di poco il momento del pasto, contribuirebbe a influenzare positivamente il giudizio su un piatto
“Siamo troppo suggestionabili” cantava qualche anno fa Paolo Benvegnù. Oltre tutto instagrammabili, bisognerebbe aggiungere un po’ di tempo dopo rispetto all’invasione di cibo sui social network. Anche perché una nuova ricerca, pubblicata sul Journal of consumer marketing, torna a farci sorridere sulle ragioni che ruotano intorno al pachidermico fenomeno del foodporn: secondo quell’indagine, firmata dal dipartimento di Food marketing della St. Joseph’s University di Philadelphia e della School of business administration dell’università di San Diego, scattare e pubblicare foto dei piatti che stiamo per mangiare riuscirebbe a renderceli più buoni. Insomma, una sorta di doping digitale. Interamente frutto delle nostre reazioni inconsce.
Lo studio
L’indagine ha riscontrato come quel profluvio di immagini su Facebook e Instagram “incrementi il gusto e il giudizio quando il consumo avviene effettivamente”. Cioè quando segue la pubblicazione. In altre parole, il foodporn rende i piatti più buoni da mangiare. Almeno nella mente di chi scatta.
Il foodporn rende i piatti più buoni da mangiare. Almeno nella mente di chi scatta
Per l’esperimento Sean Coary e Morgan Poor hanno coinvolto 120 persone dai due atenei in tre differenti tappe. Nella prima le hanno invitate a mangiare una fetta di torta e un’insalata. Ad alcuni è stato chiesto, prima di addentare queste portate, di scattare una foto. Ad altri, invece, di mangiare senza problemi. I risultati? Chi aveva effettuato il passaggio fotografico preventivo ha riportato – ma solo per la torta – un livello di gratificazione superiore. In una media ben più elevato rispetto ai commensali privati dello smartphone.
Se lo scatto aumenta il gusto
In un altro test i ricercatori hanno esplorato la differenza fra cibo salutare e cibo normale immortalati in una foto. Solo un passaggio propedeutico al terzo test, in cui hanno infine tentato di capire come la circolazione di immagini, in questo caso anche di cibi salutari, possa influenzare il giudizio che se ne fornisce. In effetti gli scienziati hanno evidenziato che quando aumenta la consapevolezza che anche gli altri nostri “amici” digitali stanno consumando quel tipo di cibo, il meccanismo della fotografia funziona anche con l’insalata.
Sembra tutto troppo complicato, la realtà è quella che si raccontava in apertura: siamo suggestionabili non solo sul lato intimo e personale (scattiamo la foto, la pubblichiamo sui social e il solo gesto ci conduce a fornire giudizi positivi) ma anche sul versante collettivo. Ci abituiamo cioè ai cibi che vanno di moda e che vediamo scorrere sulle nostre bacheche fino a pensare che ci piacciano semplicemente perché sono più desiderabili dalla community.
Il rituale della food photography
In ogni caso, facendo fuori per un attimo la tipologia di alimenti, la food photography innesca il medesimo processo. Ci costringe cioè a interagire con quel che ci ritroviamo nel piatto badando ad angolazioni, composizioni, luminosità e disposizione degli oggetti, dai bicchieri alle posate. Tutte valutazioni che ci portano via tempo ma costruiscono anche un’anticipazione di ciò che di lì a breve addenteremo. Ecco probabilmente perché, nel momento in cui iniziamo a mangiarla, la pietanza ci sembra più buona, dolce o soddisfacente.
Alcuni altri studi passati, il New York Magazine ricorda per esempio una rassegna del 2013 su Psychological Science, sembrano allinearsi a queste scoperte allargando il tiro. In sostanza, mettersi a tavola e anticipare il pasto con un piccolo rituale – qualunque esso sia – tende a farci sembrare più gustoso ciò che c’è nel piatto. A cos’altro corrisponde sfoderare il telefono, posizionare il piatto, scattare qualche foto e magari modificarla al volo se non a un rito digitale che pospone di poco la gratificazione aumentandone gli effetti?